lunedì 4 ottobre 2021

QUEI CONTENITORI DI BELLEZZA - I MUSEI CIVICI DI PESARO di Rita Guidi

 

 


Due portachicchere dal barocco decoro o una (la più celebre?) pala del Bellini?

 Inutile scegliere, è sufficiente entrare: la Pinacoteca di qua, il Museo delle Ceramiche di là, l’indirizzo è nel centro di Pesaro. In quel cinquecentesco Palazzo Toschi-Mosca che le accoglie dopo il trasferimento del 1920 da Palazzo Ducale, e che merita da solo assai più di uno sguardo.

 Raccolta e ordinata nell’abbraccio elegante delle sue quindici sale, l’arte su tela o su coccio invita infatti ad una preziosa occasione tutt’altro che limitata ai confini urbani.

 A partire appunto dal Bellini. Veneziano maestro già celebrato dai contemporanei, la cui matura e originale  perizia si lascia qui ammirare nella cosiddetta Pala Pesaro, commissionata nel 1475 dalla chiesa di San Francesco di questa città. Rigorosa e nuova, spettacolare e sobria, questa “Incoronazione di Maria” gioca con la luce e con lo spazio, rivela prospettive cromatiche prima che geometriche, misura lo spessore di un artista.

 Non l’unico, certo, nemmeno come veneziano. Accanto a questa sala, dedicata a…se stesso, ecco infatti quella delle Nature Morte, con opere che vanno dal pesarese  Giannandrea Lazzarini al napoletano Giuseppe Recco, a Christian Berentz, da Amburgo. Più spettacolare è però “La caduta dei giganti” di Guido Reni (1575-1642) che, con una quarantina di tele emiliane e toscane, campeggia in quella  Sala Hercolani- Rossini che raccoglie l’omonima donazione.

 Splendide e importanti anche le opere di iconografia prevalentemente sacra, come La “Maddalena penitente” e il “San Giuseppe” di Simone Cantarini raccolte nella Sala che da lui prende nome.

 Collezione anche questa legata alle spoliazioni post-unitarie di molti ordini religiosi, così come a donazioni nobiliari.

 Della famiglia Ugolini, è ad esempio l’importante lascito di gran parte delle ceramiche di Sei-Settecento che troviamo qui accanto. E certo, anche se al gran fuoco di quei secoli (e dei precedenti) cuocevano praticamente in ogni casa coppe o piatti, vasi o fruttiere, non ci sembra il caso, mai, di parlare di artigianato.

 Raccontata dalle sei sale che vanno dal Rinascimento al Novecento, sulle tavole c’è una storia dell’arte, anche se è forse la più fragile. Le maioliche dell’antico ducato di Urbino, quelle decorate a raffaellesche, gli “effetti speciali” della decorazione a lustro, o quella tutta a rose pesarese doc, dispiegano una diversa magia del colore, un più quotidiano bisogno del bello.  Sempre straordinario il tocco di Andrea della Robbia (1435-1525) che firma qui un suo prezioso esemplare, così come quello di Carlo Antonio Grue (1655-1723), uno dei più noti maestri della maiolica barocca. Le due portachicchere sono le sue. Contenitori certo più preziosi di qualsiasi contenuto.

 

                                           Rita Guidi

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