lunedì 28 settembre 2015

EXPO EXPERIENCE: VADEMECUM PER L'EXPO testo di Rita Guidi (foto di Niccolo' Zanichelli)

Sarebbe come rinunciare al piacere effimero dei fuochi d’artificio, al prodigio unico di uno spettacolo irripetibile. Perdere l’Expo di Milano 2015 sarebbe come archiviare con un ‘mai’ una bella occasione dal respiro internazionale che abbiamo proprio qui, nel cortile di casa nostra: un vero peccato.
E allora? E’ iniziato il count-down prima della conclusione…Facile ipotizzare che si moltiplichino le code…Embè??? Sarà bene spicciarsi, acchiappare un biglietto e, se credete, seguire qualche (nostro) consiglio. 
1) Meglio treno o bus. Se non abitate a Milano (nel qual caso vi basta la metro), meglio raggiungere Rho col treno : ci sono parecchie coincidenze aggiuntive che vi portano direttamente in fiera, praticamente ogni 20 minuti da Milano Centrale o Milano Rogoredo. Oppure in pullman: molte agenzie di viaggi, addirittura con sconti se siete soci di qualcosa – tipo ipercoop – organizzano corse dedicate. Non è solo una questione economica/ecologica o di praticità (l’auto non vi serve a nulla). Considerate che sarete belli stanchi dopo aver sgambinato su e giù per il decumano, e l’idea di prendere un’autostrada una volta usciti non vi sorriderà affatto.
2) Evitate a tutti i costi i fine settimana. L’Expo vale un giorno di ferie, se proprio non riuscite diversamente. Noi siamo andati in un ‘tranquillo’ giovedi di settembre. Tanta gente si, ma davvero nessun problema/fastidio e code sopportabili (o nulle, come diremo più in là).

3) Niente levatacce. Vi aspettano chilometri: meglio arrivare riposati. Inutile accalcarsi prima dell’apertura, se poi dovete aspettare ore ai tornelli di controllo…Noi siamo arrivati col nostro trenino delle 11 (in 7/8 ore abbiamo visitato oltre venti di padiglioni) e c’era un po’ di gente in fila ma in 10 minuti eravamo già dentro.
4) Portatevi un pranzo al sacco nello zaino. Ok, sembra assurdo: si parla di ‘nutrire il pianeta’…possibile che non ci sia un panino per voi???? Ovvio che potete mangiare di tutto di più. Ma la domanda è se sia il caso, e la risposta dipende da quanto tempo e fame avete. Se pensate di dedicare a Expo solo un giorno, allora vi consigliamo di accontentarvi di spuntini qua e là (le patate fritte o i waffle belgi, l’ice drink chocolate del Congo…). Meglio un take-away multietnico e 3 o 4 padiglioni in più, che un paio d’ore seduti a tavola…no?
5) Non fermatevi alla prima osteria. Non intruppatevi subito al Padiglione Zero o al Padiglione Italia che appunto risentono del fatto di essere i primi a seconda degli ingressi. Decollate oltre. Sgambinate subito. Infilatevi nei1)   Infilatevi nei ‘cluster’ del riso, del cacao, del caffè: nella gioia colorata e ‘povera’ di isole e capanne esotiche (i piccoli gadget preziosi o divertenti). Attraversate il decumano per annusarne l’atmosfera, sorvolate come droni sul caleidoscopio di proposte, nel rutilante gioco creativo che scoprirete ad ogni passo.


6) Partite dal fondo, scegliete col cuore, iniziate dove la coda è scorrevole. Non stressatevi subito. Ci sono padiglioni bellissimi ma dei quali si è parlato meno, che meritano davvero il vostro tempo. Per esempio?


7) Ecco i nostri consigli…
Noi abbiamo iniziato da quello del Vietnam. Elegante e suggestivo, la leggerezza delle colonne di bambù a disegnare immensi fiori di loto, è un tuffo nell’Oriente più immediato e semplice. Impossibile rinunciare al richiamo dei gadget che trovate al piano di sopra: ventagli, segnalibro di carta di riso, biglietti/origami e soprattutto i tipici copricapi di paglia. Praticamente una moda: almeno una dozzina di passanti ci hanno chiesto dove trovarlo…Indossarne uno è già essere a Expo!!
Se evitate l’ora di pranzo (sono davvero tanti a cercare di assaggiare le famose panadas)  salite le rampe del padiglione Argentina: vi aspettano schermi grandi come tutte le pareti per avvolgervi di musica e storia, panorami mozzafiato e pagine di storia.
Invece è proprio all’ora di pranzo che dovreste visitare il Brasile. I venti minuti di coda li abbiamo spesi per mangiare i nostri panini e poi abbiamo ‘digerito’ sulle famose reti. Un autentico divertimento se avrete lasciato a casa i vostri amati e inutili tacchi alti…;)..
Sempre nel primissimo pomeriggio affacciatevi in Ecuador. Padiglione molto gettonato per la magia degli ologrammi che aggiungono suggestione al percorso articolato nelle 4 anime di un Paese ‘che ama la vita’, incredibile per la varietà di tradizioni e paesaggi.
Basta America Latina? Fate un salto in Germania, appena lì dietro. C’è molto da vedere e il percorso esterno vi porta ad accoglienti panche panoramiche che sono un toccasana per rilassarsi un po’. Per scendere? Un divertente scivolo…riservato ai giovanissimi (anche dentro?)…
Sempre terrazze panoramiche anche nel padiglione degli Stati Uniti, dove si salgono le scale senza problemi né code e si ammirano i giochi d’acqua che compongono parole, prima di rituffarsi nel mondo che aspetta fuori. Tutto di legno quello dell’Estonia (anche questo con altalene o cuscinoni dove stendersi un attimo). Ma niente in confronto alla terrazza lussuosa del Turkmenistan
Dopo un parterre di tappeti che raggiungono il soffitto, vi troverete immersi nella sontuosa schizofrenia di un mondo sospeso tra profumi ancestrali e avanzatissima tecnologia. Un mix sorprendente (e un po’ kitch) dal fascino certo quanto la ricchezza evidente (in regalo all’ingresso abbiamo ricevuto un’agenda di pelle…). Ben raccontata dal lusso pigro di immensi tappeti illuminati dallo schermo sferico di un ‘lampadario’ intelligente che proietta il mondo.
Anche la Turchia si può attraversare assaporando il contrasto tra modernità e storia. Ma se è proprio l’arte che cercate, infilatevi nel padiglione della Santa Sede: c’è un arazzo del Tintoretto dai colori splendenti. E tavoli multimediali dove condividere la vita.

A proposito: lo spettacolo dell’albero della vita è un fuoco d’artificio dagli effetti unici. Un piacere effimero che vi suggeriamo…di filmare. Non è la stessa cosa, ma sarà un bel ricordo.
Stanchi? Rinfrancatevi con un (consigliatissimo!) ice-drink-chocolate del Congo…Di nuovo curiosi? Sempre in tema di cioccolato infilatevi nel padiglione belga: a parte qualche gadget da mangiare (pastiglie di cacao, biscottini…) ammirerete un artista pasticcere intento a confezionare ogni cosa col cacao. Meno invitante ma decisamente da curiosare il piano di sotto: tra insetticommestibili scoprirete curiosi ‘acquari’ con tanto di pesci vivi e pianticelle appena nate. Si tratta dell’acquaponica, un ecosistema innovativo che potrete ammirare di persona. Di nuovo in fondo al decumano (ok, bisogna sempre infilarsi dove ci sono meno code) ecco il padiglione del Principato di Monaco: costruito con veri container, ha il grande merito – finito l’expo – di riciclarli e farli diventare autoambulanze destinate a Paesi poveri. Non solo, ma tutto il percorso molto giocoso (perfetto per far giocare bimbi di tutte le età) è un costante invito a riflettere su ambiente e risorse. E per vedere le splendide meduse fluorescenti, in una buia e magica saletta dedicata.  

Un occhio all’orario del treno ed ecco che ci resta un’ora esatta. La dedichiamo al Padiglione Zero che la merita tutta e che a quest’ora (sono poco più delle 17) è a zero code zero! E’ così bello che è un peccato anticiparvene la suggestione: dall’immensa libreria di legno all’ingresso, alla sequoia che fa ombra ai mille schermi che raccontano la storia dell’uomo, alla strana sensazione di trovarsi…sotto il pelo dell’acqua…
No, sarebbe un peccato conoscerlo prima. O non avere avuto il modo di scoprirlo, dopo. Anche a prezzo di qualche coda. L’Expo anche questo ci insegna. Come un fuoco d’artificio, come ogni istante della nostra vita, qui e ora non ritornerà.




mercoledì 16 settembre 2015

VIAGGIO NEL FUTUR(ISMO) di Rita Guidi

E’ un invito al movimento: atletismi d’arte, 
acrobazie dello spirito.

 Giacomo Balla racconta se stesso e il Futurismo, ovvero come muove un movimento. Pregio prezioso di una raccolta che incorniciando un (celeberrimo) autore, ne libera il respiro d’avanguardia, il prepotente Novecento.
E’ un invito a un autentico viaggio nell’arte, dunque, ma anche all’esplorazione/conoscenza di questo luogo, la Fondazione Magnani Rocca, residenza immaginifica di Mamiano, alle porte di Parma.
Qui vi accoglie il giardino dei pavoni bianchi,  silenzoso di verde. E’ il Parco che quieta Villa Magnani dove si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici. 
Museo attivo e conosciuto, dalla straordinaria collezione permanente (non a caso ribattezzato Villa dei Capolavori), ora ospita appunto la mostra ‘GIACOMO BALLA Astrattista Futurista’ dal 12 settembre all’8 dicembre 2015.  Un percorso che utilizza l’analisi del manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo, uno dei testi teorici più rivoluzionari dell’arte del Novecento, nel centenario della sua pubblicazione, sottoscritto dallo stesso Balla e da Fortunato Depero.

Astratto, dinamico, trasparentissimo, coloratissimo, luminosissimo, autonomo, trasformabile, drammatico, volatile, scoppiante…. Sono i temi di un’avventura scandita da una genialità dissacrante, da una sensibilità artistica radicalmente nuova. Un modo di cucinare l’arte…. Un ghigno…. Un movimento che ha lo stesso sguardo dei tanti autoritratti esposti qui. Un segno forte e inconfondibile. Come il caffè che Balla ci offre dalla tela: gli occhi vivi e sorridenti, che muovono il mondo. 

NELLA VILLA DEI CAPOLAVORI di Rita Guidi

Il giardino dei pavoni bianchi è silenzoso di verde.
Come il Parco che quieta Villa Magnani. Qui si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici.  Ma lui, di piu’, amava la musica. Luigi Magnani, professore e letterato, il cui nome rimanda alle tele che affollano le pareti di quella che è stata la sua  splendida casa, di più subiva e sognava le armonie dei capricci musicali.
Originario  di Reggio Emilia, dove era nato nel 1906 da Giuseppe ed Eugenia Rocca, laureatosi a 23 anni in Lettere moderne, scrive d’arte e di scultura, appunta idee per romanzi autobiografici, tiene conferenze, collabora persino ad alcune voci della celeberrima Treccani...e intanto compone.  “I canti di Michelangelo” per voce e pianoforte ; “I cori della Passione”, per voci sole; “La Pavane”; “La passacaglia”; “L’oratorio di Emmaus”, che verrà eseguito al Teatro Communale di Firenze, il 28 marzo 1943, durante un concerto sinfonico diretto da Carlo Zecchi, e replicato una sola volta il 4 aprile a Roma.
Debutto in  sordina, per una passione segreta. e appena d’imbarazzo, come un’amante. A Roma, dove negli anni ‘50 trascorrerà gran parte del suo tempo, alternerà all’insegnamento universitario concerti  che terrà li stesso, nel salotto di casa.  Anche il suo amore per la poesia inizia a venarsi di quest’altra passione. Pubblica saggi come Goethe e Mozart, Prolegomeni e Beethoven, Mallarmè e i miti della musica, tiene conferenze e cura trasmissioni RAI (Proust e la musica). Di lui dicono :”Se c’è uno che sarebbe in grado di riuscire a spiegare  alla gente  come si possa godere sibariticamente la musica di  Hindemith o  Schonberg, questo è proprio di Luigi Magnani”.
Proprio lui, Luigi Magnani, che parla e scrive di Michelangelo, che  collezziona Raffaello e Morandi, che protegge dai troppi sguardi l’oro delicatoe splendido di una madonna del ‘400 di Pietro di Giovanni  Ambrosi.

Niente di strano, allora, se a 62 anni dcide di partecipare ad un concorso per la cattedra di storia della musica all’Università di Pavia. Senza successo. Non  è lì  che deve cercarlo. Lo avrà, ma con un libro,   nel ‘73: “Il nipote di Beethoven” pubblicato da Einaudi, che vince il Campiello e da cui viene tratto un  film. E’ l’anno della cittadinanza onoraria conferitagli dal Comune di Parma. I giorni in cui Mamiano diventa sempre  più la sua residenza, la sua casa. Quella villa di campagna dove giungono onorificenze ed amici, dove raccoglie ed assomma i suoi gusti e  le sue scelte. L’arte,il verde (nel ‘79 gli viene conferito il premio mondiale per l’ecologia) ...e naturalmente la  musica. Come avesse voluto colmare, con essa, le assenze di uomini  e di suoni dei polverosi schizzi di Morandi. Coome avesse voluto dire che accanto al Goya e al Durer, a Monet o al Lippi, c’era anche, ed era sua, quell’algida e provocatoria Tersicore del Canova.  Che, insomma, anche questa Musa ha lasciato.
La Fondazione Magnani Rocca è oggi un Museo attivo e conosciuto. prestigioso e discreto nelle iniziative, elegante nelle scelte  e nei particolari, è frequentato con costante regolarità da visitatori  italiani e stranieri. Numerosissimi a tratti, per le Mostre di grande richiamo: di grandi artisti o di grandi collezioni, perchè questi sono i due motivi conduttori delle iniziative. In ideale continuità con ciò che Magnani aveva iniziato. Come si farebbe per un amico. Perchè qui si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici: a casa del professore. Anche se lui avrebbe preferito si dicesse “a casa del maestro”.

(FONDAZIONE MAGNANI ROCCA via Fondazione Magnani Rocca 4 43029 Mamiano di Traversetolo, ParmaTel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337  info@magnanirocca.it )

sabato 12 settembre 2015

DOVE OSANO LE MENTI di Rita Guidi



 E’ in questo ignoto che abitano i timori e la bellezza. Nuove frontiere di una verità che assorbe le trincee della conoscenza per fondersi in una e una soltanto. Traguardo inesatto che non sfugge a chi, tra i fisici “esitanti sull’orlo dell’inconoscibile” (per dirla con Primo Levi), possiede una più fine sensibilità.
 E’ questo il caso di Carlo Rovelli, ed è per questo che il suo “Sette brevi lezioni di fisica” (Adelphi, 88 pagg., 10 euro) è un autentico caso. Perché svettare nelle classifiche di vendita con un saggio che spazia dalla Teoria della Relatività alla Fisica delle Particelle è tanto meritato quanto inconsueto.
 E la risposta, come spesso accade, è nel perfetto equilibrio tra profondità e leggerezza; in un contenuto dal fascino irresistibile, complesso, disarmante e in una prosa dolcemente semplice, come il sussurro di una confidenza, di un segreto.
Non è improprio affermare che costruisce poesia, Rovelli, spiegandoci l’Universo più piccolo e più grande della materia indagata. Un’operazione in sette piccoli passi che come primi astronauti ci regala d’un balzo una tutt’altra visione del reale.

Solo qualche pennellata di un affresco ancora da costruire, “perché la scienza ci mostra come meglio comprendere il mondo, ma ci indica anche quanto vasto sia ciò che ancora non sappiamo”; ma con l’umiltà e la chiarezza che sono propri dei grandi studiosi, l’autore ci racconta meraviglie e difficoltà di quanto intuito da Albert Einstein, di un Universo come un grande mollusco inquieto e pulsante dove il ‘vuoto’ ha la consistenza (misteriosa) della gravità; e della meccanica quantistica, per la quale invece “il mondo è un pullulare continuo e irrequieto di cose, un venire alla luce e uno sparire continuo di effimere entità.

 Un insieme di vibrazioni, come il mondo degli hippy degli anni Sessanta. Un mondo di avvenimenti, non di cose”. Posizioni contrastanti, schizofreniche, ma che funzionano su ciò che sappiamo della materia: quella “dei sorrisi dei ragazzi alle feste, e del cielo nero e stellato la notte”…
 La sfida più bella sarà ora comprendere, unire. Perché “questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa. Della trama di cui siamo fatti noi stessi”. “... siamo tutti nati dal seme celeste”. E’ così che Rovelli ci porta a Lucrezio.

P.S.
E per chi volesse 'avvicinarsi' oltre le pagine di questo libro (cui aggiungiamo senz'altro quello di Marco Delmastro "Particelle familiari"), alle affascinanti frontiere di questa conoscenza, corre l'obbligo un viaggio per visitare il CERN di Ginevra, Come? Ecco qualche utile info:

http://www.borborigmi.org/2012/01/26/vademecum-per-venire-a-visitare-il-cern/