Quel profilo inconfondibile. Di una bellezza
inconsueta. Di una eleganza precisa.
Il
Palazzo Ducale di Urbino è fatto così.
Ritratto di pietra di quel Federico da Montefeltro altrettanto celebre
nella potenza e nel volto.
Giovane
signore della città (ha ventidue anni quando, nel 1444, ne ottiene il pieno
potere), Federico ha infatti da subito la tempra e la saggezza di un vero uomo
del Rinascimento. E proprio per questo,
per donare un volto alla propria età e alle proprie idee, vuole reinventarsi
una dimora, farne un emblema, uno
specchio, un suo luogo.
Il
progetto? Inizia praticamente da subito, con Maso di Bartolomeo. Ma a tradurre
i voleri del Duca, a dar vita ai suoi sogni, che sono tanti, e dunque a fare
“una città in forma di Palazzo”, sarà l’architetto dalmata Luciano Laurana,
conosciuto nel 1465 e insignito nemmeno tre anni dopo del titolo di “ingegnero
et Capo di tutti li maestri”. E dopo di lui Francesco di Giorgio Martini, i tocchi
più lievi per un’opera quasi ultimata.
Aderente
ai movimenti naturali del colle, cucito in perfetta continuità con il
circostante tessuto urbano, ecco che allora il Palazzo racconta una storia di
potere senza superbia, di cultura senza confini, di bellezza senza riserve.
Solido eppure snello, non chiuso in difesa ma aperto al confronto, la dimora è
semmai cenacolo e non più castello. Modello di (una) civiltà mai più raggiunto,
nemmeno nel coevo Cinquecento.
Di qua
la scioltezza di una facciata, la sua eleganza informale, di là l’ammiccamento
più celebre e inconfondibile dei Torricini, con i quali anche solo l’ingresso è
il profilo ideale di un tempo, simbolica e piena indicazione di un microcosmo
pulsante. Dissapore medievale, ricetta appena pagana.
E dentro? Datevi almeno tre ore per scoprire come il Duca viveva lì. Quale cornice di raffinatezza abbia saputo offrire ai suoi ospiti fin dal loggiato aperto del Cortile d’Onore. E poi nelle sale più sopra, al piano nobile, dove erano anche gli appartamenti della famiglia. Sale ancora segnate dagli stemmi, dai fregi dorati, dai camini (quasi assenti naturalmente i mobili), dove si svolgevano le cerimonie, i ricevimenti, i banchetti, i balli…
Rumori di vita che non erano quasi mai frastuono. Ma dai quali, spesso, il Duca si ritirava a gustare il suo silenzio tra le stanze più segrete del palazzo. O ancor più nel suo celebre "Studiolo": alle pareti libri, strumenti musicali, macchine astronomiche fissate con effetto trompe l’oeil negli intarsi del legno, e poi ritratti di famosi poeti, filosofi e matematici, la saggezza assordata si può udire di nuovo.
Sorpresa di bellezza
che non è certo l’unica in questa immensa dimora che dopo gli ultimi restauri
si può (e si deve) visitare tutta. Il nostro consiglio è infatti di non
dimenticare nemmeno i sotterranei, le cucine o le stalle, che pure hanno
(sobrie) parole per uno straordinario racconto. Perché sono quasi una sorpresa
tecnologica, gli impianti del palazzo (le cisterne, la neviera, i bagni con
acqua calda e fredda, le lavanderie, i magazzini) che rendevano la vita già
diversa. Se non ideale, vicina al
profilo di un Duca che del Rinascimento è stato un autentico re.
LA GALLERIA NAZIONALE
Piero abita qui, con Raffaello, Paolo Uccello e il nostro Laurana.
Ed è giusto arrivare da lontano per venire a trovare il quattrocentesco miracolo de "La profanazione dell'Ostia" di Paolo Uccello, "La Flagellazione" e la "Madonna di Senigallia" di Piero della Francesca (1415/20-1492), o la cosiddetta “Muta” di Raffaello. Quel “Ritratto di gentildonna” che offre di nuovo bellezza ideale. Come la Città. Come questo Palazzo.
Rita Guidi