sabato 12 agosto 2017

VENARIA: QUANDO LA BELLEZZA E' DAVVERO REGALE di Rita Guidi - foto di Niccolo' Zanichelli

L’eleganza degli stucchi, il superbo profilo delle Alpi:
se il pensiero corre inevitabilmente a Versailles, del resto, la prima differenza è proprio lì, in quella cornice di vette (innevate?) che nemmeno il re Sole. La Reggia di Venaria si offre agli occhi dei visitatori in tutto il suo solenne splendore, riflesso esatto di due secoli d’arte, tra Sei e Settecento. Voluta da Carlo Emanuele II di Savoia come residenza di caccia (venaria, appunto…), e come gesto concreto per tentare di prendere le distanze dall’invadenza materna (Cristina di Francia, e cioè quel peperino della sorella di Luigi XIII…), la Venaria trasuda gli umori barocchi e le meraviglie d’apparenza che erano nell’aria.
Il Savoia mette al lavoro Amedeo di Castellamonte e Michelangelo Garove con un risoluto “Sorprendetemi!”, e loro lo fanno: nell’opulenza delle sale, nel progetto all’italiana dei giardini, la cui prospettiva si perde, appunto, fino alla Alpi. Se vi mettete al centro della sala di Diana (affreschi e sculture sono, del resto, ovunque un richiamo alla dèa della caccia), godetevi la prospettiva o anche solo l’idea di trovarvi al centro esatto di quel regale universo: di qui, il disegno educato degli urbanisti vi farà raggiungere la piazza del villaggio sorto attorno alla reggia; di là, appunto, la tenuta, i giardini (e le Alpi). Il tempio di Diana potete solo immaginarlo (come meta
ludica e – si dice – un po’ birichina – di ospiti e figli della nobiltà). Brutta storia, in tempi di Libertè Egalitè Fraternitè, ma anche dopo…: durante l’assedio di Torino i giardini saranno destinati a piazza d’armi (idem più tardi sotto Napoleone). Ed è qui, grazie al cielo, che il Juvarra ci mette lo zampino e la reggia si arricchisce anche delle armonie del Settecento (sono i mattoni sulla facciata, contro il bianco dell’intonaco ad aiutarci a fare le debite distinzioni). Restaurata e ampliata, la Venaria diventa spettacolo scenografico in nuovi ambienti e candidi stucchi. Ne è emblema e capolavoro la Galleria Grande. Immaginate la luce (44 vetrate e 22 ‘occhi’ sul soffitto a volta), immaginate la prospettiva (80 metri da percorrere col naso all’indietro, di fianco e all’insù), immaginate la sofisticata eleganza del bianco, che si fa caldo come oro, se avete la fortuna di intercettare il più regale dei tramonti.

Ok, basta così. Basterebbe così, ma certo che no: perché magari è il caso di fare una pausa al Caffè degli Argenti (o un pranzetto nel ristorante che è proprio lassù, nella torre); o perché tutti da visitare sono gli appartamenti (e gli arredi), i locali di servizio (e le suggestive ricostruzioni firmate Peter Greenaway…).
E ancora le mostre – sempre prestigiose – che qui si allestiscono. E allora magari è meglio dormirci su e tornare il giorno dopo, e vi consigliamo di farlo se avete preferito il biglietto col quale potete visitare proprio tutto…

Ora ci sono due chicche: l'universo femminile di Boldini e le magnifiche ombre di Caravaggio. Esperienze sensoriali di cui potete nutrirvi tra musica e celeberrime nature morte. Che, come la Reggia, non potrebbero rendere più viva e bella la vostra vita.

giovedì 29 giugno 2017

QUANDO MILANO VUOL DIRE BRERA di Stefania Zanardi



Metti Milano in una torrida giornata di giugno, aggiungici la voglia di visitare una zona della città un po’ atipica (oltre la Madonnina, la Galleria, le boutiques griffate…) ,eccoci a Brera- a tutti nota per la sua Accademia d’arte – da qualche anno rimessa a nuovo, affascinante, trasformata in un quartiere tra i più caratteristici, una Petite Paris che ci rimanda a Montmartre -la parte più bohemienne e artistica della Ville Lumière… Eppure le sue origini sono veramente semplici, quasi misere : il nome Brera proviene dalla parola francese “Braida”che si traduce in “terreno incolto, ortaglia” da cui ha vita la parola d’oltralpe Braidense legata alla biblioteca omonima attorno alla quale (dal XIX secolo )gli artisti del tempo si riunivano trasformando questo quartiere in un crocevia di artisti ed intellettuali…
Ma come è entrare a Brera? Varcato il grande portone, nella piazza quadrata, a cielo aperto l’imponente statua di Napoleone accoglie i visitatori che possono, in un sol colpo, visitare l’Accademia (fortemente voluta da Maria Teresa d’Austria), la biblioteca e la Pinacoteca . Quest’ultima conserva opere artistiche e dipinti che risalgono agli inizi dell’800 provenienti dal collezionismo politico e di stato che via via si arricchirà di altri quadri ed affreschi provenienti da chiese, conventi e luoghi sacri. L’ampia scalinata che conduce alla Pinacoteca ci accoglie con la figura scultorea ritraente Cesare Beccaria che ci invita ad iniziare il percorso: amanti dell’arte? Esperti? Addetti al lavoro? Semplici e curiosi turisti? Poco importa, questo luogo riesce a soddisfare tutti e tutto. In un susseguirsi di saloni alternati a stanze più a misura d’uomo, dipinti, sculture, affreschi che riempiono gli occhi e la mente di immagini, storie, arte quasi a toglierci il respiro! Mai sentito parlare della “Sindrome di Stendhal”? Qui potete sperimentarla...Una carrellata di autori di secoli e stili diversi a partire da Bellini, Tintoretto, Bramantino e Gentile da Fabriano per passare a Raffaello (Lo sposalizio della Vergine), Piero della Francesca e Caravaggio, Mantegna (“ Il Cristo morto”) VanDick e Canaletto fino ad avvicinarsi a giorni nostri ammirando capolavori di Boccioni, Modigliani, Morandi…

E all’uscita dalla visita sembra quasi che una piccola parte di te resti là, ma anche fuori qualcosa di magico rimane: tra vicoli e viuzze che si intrecciano, bar, ristorantini (ma verrebbe da chiamarli Brasseries ) è piacevole gustare un panino, una piadina o una ricca insalata in un’atmosfera un po’ da “Belle époque” dove ti può accadere di trovarti ad osservare un piccolo passerotto mordicchiare le briciole del tuo pasto… Ma pure lì il caldo non demorde, i raggi trafiggono forti e determinati… è l’ora di alzarsi alla ricerca di un po’ di ombra o, meglio ancora, di una fontana...


mercoledì 12 aprile 2017

mollybrown.it : LETTURE IN VIAGGIO PER (SOPRAV)VIVERE MEGLIO a cura di Rita Guidi

Ricordate il Titanic? Tra i pochi passeggeri che si salvarono quella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 c’era una ricca signora americana, Margaret Tobin Brown. Dopo il coraggio espresso in quel terribile naufragio (mise in salvo venti persone remando da sola su una scialuppa), diventò Molly in uno spettacolo a Broadway scritto in suo onore, e passò alla storia come the Unsinkable,  l’inaffondabile.
mollybrown.it è un sito dedicato a lei e a tutti gli “inaffondabili” che hanno reso il mondo un luogo migliore. Si occuperà di personaggi (reali ma anche immaginari) che provengono da qualsiasi ambito in cui sia nato qualcosa di bello: letteratura, arte, musica, poesia, cinema, ma anche calcio, basket, scienza. E lo farà in maniera nuova e diversa: laterale, pop, liquida (RIP Zygmunt!).
Il pubblico di riferimento sono i “lettori onnivori” over 30 alla ricerca di quel tipo di approfondimenti rari da trovare in Rete. Donne e uomini che grazie ai nostri nuovi compagni di vita (cellulari e tablet), quando aspettano un bus o sono in fila alla posta strappano agli impegni minuti preziosi per sé e li dedicano a quelle meravigliose “cose inutili” che fanno vivere meglio.
mollybrown.it è stato fondato da un team di giornalisti e scrittori, ma sarà uno spazio aperto a professionisti affermati in altri ambiti, purché appassionati di personaggi inaffondabili.
È un prodotto di nicchia? Sì. Siamo convinti che in Italia non ci sia bisogno di un nuovo blog di ricette di cucina, ma di uno spazio in cui non essere aggrediti da informazioni, rilassarsi e pensare “out of the box”.
Ogni articolo è introdotto da un brano musicale, per un’esperienza di lettura ancora più intensa.
La grafica è pulita ed essenziale, compatibile con tutti i device.
Il veicolo di diffusione sono i social.
È ottimizzato secondo i criteri SEO e basato sulla piattaforma Wordpress, per essere agile come un blog ma versatile quanto un magazine.
Vi aspettiamo su http://www.mollybrown.it


venerdì 20 gennaio 2017

UN PAESE IN COSTUME: GRAZZANO VISCONTI di Rita Guidi

  E’ un paese in costume. Eppure non ha il sapore posticcio di una mascherata.
Grazzano Visconti mantiene intatto da novant’anni il fascino di apparire come se ne avesse novecento. A un’ora d’auto da Parma (74 chilometri), due passi all’interno della piacentina Val Nure (è un comune di Vigolzone), apre i suoi cancelli a chi desidera tuffarsi in un borgo... “medievale”.
Il suo cuore davvero lo è. Un documento del 18 febbraio 1395, ricorda la posa della prima pietra di un possente castello. La firma è di Gian Galeazzo Visconti. Casato che mantenne la proprietà fino al novembre del 1884, cioè alla morte delle marchesa Fanny. Poi passò in eredita ai nipoti, i Visconti di Modrone. E in particolare al conte Guido e poi a quel Giuseppe cui venne l’idea (questa idea) di creare nel terreno circostante il maniero, una città d’arte (così è stata riconosciuta ufficialmente Grazzano dal 1986). Finzione reale, quindi, trancio d’architettura che rispetta rigorosamente le regole stilistiche di un urbe antica, la ricostruzione si compie tra il 1900 e il 1908. Autore quell’architetto Alfredo Campanini, che il committente ed amico conte Giuseppe definì “uomo coltissimo di gusti raffinati e di idee ben chiare”.
Il risultato, tra torri imponenti e botteghe artigiane, fontanelle e balconi fioriti, porticati e colonnine sul selciato rustico, è indubbiamente (e dispettosamente) suggestivo e gradevole. Ma se qualcuno insistesse nel trovarlo un po’ “kitsch”, il conte ha pensato anche a lui : sui muri del borgo ricorre infatti un’enigmatica scritta in caratteri gotici, “otla. ni. adraug. e. enetapipmi”. Motto bustrofedico, va letto cioè al contrario, che significa “Impipatene e guarda in alto”. Gli oltre 250.000 visitatori l’anno sembrano dargli ragione.
Del resto in questo neo-medioevo rivive proprio tutto. Accanto all’autenticità della Chiesa Parrocchiale, forse esistente dal 1200, con annesso Oratorio di Sant’Anna e chiesetta gotica, merita uno sguardo la piazza principale. Dominata dal Palazzo dell’Istituzione (1908), tutto trifore e loggette, con merlatura ghibellina alla sommità, fa il paio con l’Albergo del Biscione (costruzione tra le più antiche di Grazzano : 1905) dalla facciata ricca di stemmi e decorazioni floreali. E ancora, con la successiva (1922) Osteria del caminetto, tutta archi ed archetti volutamente...diroccati.
Ma in tutto il borgo ogni scorcio è un salto nel tempo. Forse perché qui non si aggira solo il fantasma di un’epoca ma anche quello di Aloisa. Leggenda triste di un amore tradito, che si concretizza in una piccola statua oggetto di visite e di messaggi da parte di chi vede in lei una protettrice degli innamorati.

Un’ultima segnalazione, da scoprire tra i mille particolari autenticamente falsi di questo paese curioso : un dipinto (uno dei tanti che adornano gli edifici) che si trova sotto il porticato del Palazzotto dell’Istituzione. Il motivo è semplice. Non solo è stato dipinto, come molti altri, sempre dal nostro conte, ma lo (auto)raffigura anche. Non da solo, certo. Accanto gli sono le figlie Ida e Anna, i nipoti, e più in alto i figli Guido, Luigi, Edoardo e Luchino. Proprio lui, il grande maestro della cinematografia. Figlio d’arte, verrebbe allora da dire. Quella delle ambientazioni sembra essere evidentemente una collaudata passione di famiglia.