mercoledì 28 luglio 2021

QUEI BOSCHI DA SOGNO PER UNA PASSEGGIATA DI MEZZA ESTATE di Stefania Zanardi


 


Tra le numerosissime e strabilianti opere del mitico William Shakespeare, in questo periodo dell’anno, non posso non collegarmi alla fiabesca “Sogno di una notte di mezza estate” che da sempre mi ha affascinata, facendomi volare sia col corpo che con la mente tra immaginazione e realtà.

Ed il periodo dell’anno è quello giusto, mezz’estate (peccato una parte si è già defilata…), desiderio di fuggire (o rifuggire per chi già ne ha assaporato il gusto) verso lidi altri dal nostro quotidiano, vacanze o ferie – ma senza dubbio il primo termine rende maggiormente l’idea- a cui tutti agognamo.

La strada è quella per il mare- l’ infinita Via Spezia- ma la meta è altra che nulla ha a che fare con lidi sabbiosi, ombrelloni al vento, sdraio e creme solari… 

Eh già, imboccando la strada cosiddetta dei Boschi verso Talignano e Cafragna, notiamo un mutamento improvviso,una diversa dimensione che ci conduce ai Boschi di Carrega – un paradiso terrestre- con una lunga storia alle spalle, spesso tumultuosa. Prima possedimento dei Farnese che la usavano come Riserva di caccia, poi nelle mani dei Borbone, ultimo periodo in cui il grande complesso dei Boschi si presenta allo stato naturale, senza avere subito opere di trasformazione. Una caratteristica di allora era la presenza di numerosi ruscelli e corsi d’acqua che rendevano fertile e lussureggiante la vegetazione; poi ,nel 1790 ,questi beni furono ipotecati e, da questo momento, comincia la grande disgregazione dei Boschi.

Siamo nel 1827 e la Duchessa Maria Luigia acquista dai Fedolfi, i beni di Sala e di Collecchio ristrutturando la villa del Ferlaro . 

Proseguendo sempre tra i Boschi, a metà via tra Talignano e Maiatico, ci si imbatte nel Centro Levati – ristrutturato nel 1984 – che funge da catalizzatore tra le varie attività che il parco propone.

Tra le tante attività già sviluppate e ancora in via di realizzazione, ricordiamo l’abbinamento  del marchio dei Boschi con la produzione vinicola di Talignano- Maiatico aventi una grande tradizione alle spalle.

La ricchezza dei Boschi sta comunque nella sua fauna e flora, uniche e da ammirare in occasione di escursioni e camminate.

 Riprendiamo il percorso scendendo – che sia in auto, bici, o a piedi – lasciandoci poco alla volta i Boschi alle nostre spalle per giungere ad un bivio che, imboccando sia la destra che la sinistra, ci conduce alla Pieve Romanica di Talignano. 

Per chi desidera “ scarpinare e rafforzare glutei e gambe” la strada si offre un po’ irta me certamente non inaccessibile, lo stesso vale per gli amanti della bici.

Giunti alla Pieve di Talignano, ci accoglie la Chiesa, un vero monumento  storico-artistico risalente al periodo medioevale (1200 o forse prima), opera di monaci Benedettini che eressero la chiesa subito dopo la costruzione di un Oratorio costruito da Monaci Cistercensi. L’importanza acquisita da questa località, nasce in particolare dalla presenza della Via Romea che permetteva il passaggio  di moltissimi pellegrini e la sosta, per qualche giorni.

Anche la Chiesa romanica di Talignano ha subito vari rifacimenti ma, oggi, possiamo ammirarla nella sua originale bellezza: ma l’aspetto più interessante è la lunetta centrale posta sopra il portone riproducente la scena della “psicostasi”.

 In Italia , infatti, esistono solo quattro sculture analoghe a questa mentre, in Francia, questo tipo di rappresentazione è molto frequente (testimonianza forse del passaggio di Pellegrini francesi agli inizi del 1000).

La lunetta riproduce la scena del giudizio delle anime in cui San Michele è vindice della giustizia divina contro Satana per la disputa delle anime (dalla tradizione cristiana) , mentre la raffigurazione del Santo con la bilancia, appartiene alla tradizione dell’Oriente cristiano (Egitto). 

E dal Sacro al profano… il passo è breve! 

Essendo Talignano, nel mondo medioevale, punto di incontro, luogo di festa e di intrattenimento, non poteva mancare il festeggiamento della “Sagra “ di fine estate dedicata alla Madonna (venerata in modo particolare a Parma e provincia) che prosegue tutt’ora.

Per un breve periodo di tempo – ad inizio ‘900- questa festa fu un po’ dimenticata per ritornare poi in auge nel 1936 quando Don Rino Faccini ebbe la brillante idea di abbinare a questa commemorazione religiosa, un concorso che premiasse le migliori torte preparate da chi avesse passione per la cucina. 

Questo concorso è tutt’ora in voga e riscuote grande successo grazie pure alla produzione di buon vino locale . 

Siete quindi tutti invitati , dopo una passeggiata, una pedalata più o meno vigorosa a rifocillarvi in questi luoghi custodi di tradizioni storiche, naturalistiche e ...culinarie .

 

 

martedì 13 luglio 2021

QUELLA PALESTRA E' UNA FORTEZZA - QUATTRO PASSI NEL VERDE DELLA CITTADELLA DI PARMA di Rita Guidi

 


  La città corre sui bastioni. Ma è una battaglia pacifica quanto la fortezza che la accoglie. Perché si scrive Cittadella, ma si legge palestra a cielo aperto; appuntamento irrinunciabile per chi esibisce le scarpette più nuove sotto un fisico non troppo asciutto, o invece  glutei perfetti sotto magliette consunte. Pentagono di antiche mura che oggi proteggono una moderna idea di verde, così come ieri inventavano una voglia necessaria di forza e di potere.

 Inventavano, perché qui non si è mai combattuto, sparato, cannoneggiato o colpito. E forse anche per questo non sorprende che oggi questo sia un gioioso e frequentatissimo parco; luogo dove si suda (ma per sport) tra le feritoie affogate dal verde, e le bocche dei cannoni sono solo un cimelio curioso accanto all’ingresso, tra le macchine in parcheggio.

 Una fortezza ideale? Certo. Nelle (altre) intenzioni doveva essere proprio così. Figlia del Rinascimento, di quel Cinquecento che scopre e guarda al potere incarnato dal Principe di Machiavelli, la Cittadella fu voluta dal Duca  Alessandro Farnese, gran capitano e governatore delle Fiandre, sul finire di quel secolo. Realizzazione di un desiderio che era già del nonno Pier Luigi, il quale infatti si era già impadronito di quest’area nel 1546. Smantellata la chiesa gotica e il convento della SS. Annunciata di Porta Nuova dei Frati minori francescani, che qui sorgevano, i lavori (i lunghi lavori che ebbero inizio nel 1591) vengono affidati agli ingegneri ducali Giovanni Antonio Stirpio de' Brunelli e Genesio Bresciani, ma con la più che attiva collaborazione di Smeraldo Smeraldi.

 L’ispirazione? Certo deriva dal castello di Anversa di Francesco Paciotto. Ma la radice è più profonda. Nutrita dal terreno più esatto del Rinascimento: l’uomo (il Principe, il Cortegiano…) deve essere ideale? Lo sarà allora anche la sua città. E lo sarà in obbedienza agli (di nuovo) ideali del riscoperto Vitruvio, e delle sue accentuate geometrie.

 Razionalità, proporzionalità. Pentagono. La Cittadella è un grande pentagono, frutto anche degli sviluppi dell’ingegneria militare dell’epoca, certo. Ma è un pentagono non solo perché è la figura che essi preferivano, ma perché è stella per eccellenza, immagine antropomorfica. Testa, mani e piedi di quell’uomo che doveva essere un piccolo, perfetto (micro)cosmo.

 Pazienza, allora, se mai da questi bastioni si sparò. Con le bocche da fuoco rivolte verso la città, anzi, volle essere forse fin da principio immagine di prestigio per i Farnese. Simbolo di una forza possibile ma mansueta.

 Anche l’ingresso principale, del resto, si apre alla città. Un bel manufatto che ancor adesso si può ammirare, progettato da Simone Moschino (1596), ed eseguito da Giovan Battista Carra.

 Resta anche un naturalmente successivo ritratto in bassorilievo del conte Neipperg, entrando a destra sotto il portico d'accesso (forse opera del Bandini).

 E ovviamente i bastioni. Alti, oltre le rampe di verde che nello spazio a terra ospitano campi di calcio o di basket e giochi per i bimbi, alberi e tavoli per chiacchierare o smazzare le carte. Alti, e come un pentagono ( a forma di uomo?) sul quale tanti uomini oggi corrono, per esibire o cercare (anche se solo nel corpo) un profilo ideale. Destino (forse) di un luogo.

 

                                           Rita Guidi

lunedì 5 luglio 2021

SPLENDORI A CORTE - LE PORCELLANE DEI DUCHI DI PARMA ALLA REGGIA DI COLORNO di Rita Guidi

 


Quattrocento stanze. E il sussurro di una storia contesa tra eleganza e follia. Reggia di Colorno: lo splendore del Seicento avvitato su un tessuto ancora più antico. Profilo che addita immediato agli orizzonti di Versailles…il palazzo…il giardino…e cioè uno spettacolo. Del resto fu proprio  Luisa Elisabetta, moglie di Filippo Farnese ( che al contrario del fratello fece di Colorno la sua residenza principale) e figlia del Re di Francia Luigi XV, che volle un tale  splendore per l’intero complesso. Nel Trecento semplice baluardo militare, nel Cinquecento, con la contessa Barbara di Sanverino, dimora signorile, inizia ad assumere un profilo di grandezza con l’ausilio dell’architetto Ferdinando Galli Bibbiena (dopo la confisca dei beni della contessa da parte di Ranuccio Farnese, nel 1612). Furono quelli gli anni in cui l’edificio assunse l’aspetto attuale. Ma il tocco grandioso fu opera di Babette che all’architetto francese Ennemond Alexandre Petitot affidò l’incarico di ristrutturare il palazzo. Per questo furono chiamate maestranze francesi che insieme agli artigiani di corte trasformarono gli interni della Reggia fino a renderli simili a quelli che la duchessa aveva conosciuto a Versailles. 

 E poi? Alla morte di Ferdinando, figlio di Filippo di Borbone e succeduto al trono nel 1765, il Ducato di Parma venne annesso alla Francia di Napoleone. Nel 1807 la Reggia di Colorno venne dichiarata “Palazzo Imperiale”; ma una nuova fase di importanti cambiamenti ebbe luogo dopo la caduta di Napoleone, quando Colorno e l’intero Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla furono assegnati alla moglie del deposto imperatore, Maria Luigia d’Austria.
In circa trent’anni di regno, Maria Luigia, amata duchessa di Parma, impresse agli appartamenti ducali e al grande giardino il segno indelebile del suo gusto.

E prima che tutto questo diventasse follia. Perché passeggiando in queste stanze ora sbiancate dell’antica bellezza, si avverte già il pugno nello stomaco degli eventi, quando si sale verso le stanze volute discoste già da Ferdinando. Timoroso degli echi rivoluzionari d’oltralpe, si fa approntare un appartamento dalla facciata anonima e modesta, anche se rallegrata da un delizioso, elegantissimo osservatorio astronomico. Un gioiellino di bifore, meridiane e rose dei venti, dal quale però si scorge l’ombra lugubre del diroccato manicomio. Già abitazione di chi ne fu direttore, questi antichi appartamenti – ora restituiti al visitatore – hanno del resto subito l’oltraggio dell’abbandono: i pipistrelli come unici abitanti di quel meraviglioso osservatorio…

Follia, certo, come quella che aleggia nelle stanze svuotate, adibite anche quelle a ‘luogo di cura’… Quattrocento. Ora in parte ritrovate. Come lo splendido salone che affaccia sul parco. Trionfo di luce e di eleganza, cornice di bellezza fragile: perché ora in mostra ci sono le porcellane preziose (Limoges…Meissen…) che sfioravano dita coronate e che ora adornano cene ufficiali al Quirinale. Altro tesoro custodito e da custodire come un monito contro ogni follia.