martedì 13 ottobre 2015

I BARCONI DELLA MEMORIA di Rita Guidi

Si è parlato con i migranti, non di migranti.
Una differenza grande come gli occhi di chi guarda (niente schermi televisivi, niente foto o articoli di giornale), ma soprattutto di chi parla (niente schermi televisivi, foto o articoli di giornale). Carne. Viva. Uomini. (Jerreh…Salè..) Che ti stringono la mano e raccontano, tra timidezza e allegria, ferite ancora aperte e cenni di speranza. Sopravvissuti. Per questo possono essere qui. Chiamati al ruolo impossibile di testimoni di se stessi, in una società impossibile, se ha bisogno di questo.
E’ un viaggio a ritroso, quello che raccontiamo oggi. Un viaggio verso di noi, di chi ha staccato un biglietto senza ritorno dal proprio mondo, ma anche un viaggio verso di noi, per guardarci dentro e sottrarci al nostro sordo galleggiare in superficie.
Ad accompagnarci è il CIAC (Centro immigrazione asilo e cooperazione di Parma) che ha organizzato con la Rete Scuole di Parma per la Pace un appuntamento toccante e prezioso presso il Seminario Minore di Parma.
Un viaggio esclusivo (nella migliore accezione del termine), un’uscita didattica alla massima potenza per oltre duecento ragazzi delle scuole superiori, silenziosi e partecipi ad una lezione viva. Protagonisti attenti di un messaggio che dovrebbe far parte del fare scuola sempre, se la scuola fosse buona davvero.
Dunque il faccia a faccia  con la realtà, con la cronaca. Pardòn: con questi uomini. Sopravvissuti. Scampati alla morte nella propria terra (straordinario il reportage di Costanza Spocci, giornalista in prima linea nell’inferno del medio oriente) e poi a quella nel mare (confine desiderato – spesso mai nemmeno visto – e crudele), e ora appesi al filo spinato peggiore: quello di chi – uguale e diverso – pensa che la povertà non sia il proprio egoismo.
“Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar…” Mohamed Ba, straordinaria presenza nella straordinaria assemblea, canticchia la canzone dei nostri migranti. 

Risveglia quella memoria spezzata e negata della quale diventa paradossale testimone. “Abbiamo gambe e non radici: siamo fatti per andare”, spiega. “Il Venezuela è la Venezia del Sud America perché è fatta da migranti veneti: quelli che oggi, qui, dicono no”, insiste. Poi racconta la sua Africa, e quel patrimonio di natura, umanità e saggezza che porta con sé. Un anziano che muore è una biblioteca che brucia, dice.

E Ba dice molto, molto altro. Ma a noi basta questo per chiederci se non siamo noi, invece, ad aver bisogno del loro aiuto.

lunedì 28 settembre 2015

EXPO EXPERIENCE: VADEMECUM PER L'EXPO testo di Rita Guidi (foto di Niccolo' Zanichelli)

Sarebbe come rinunciare al piacere effimero dei fuochi d’artificio, al prodigio unico di uno spettacolo irripetibile. Perdere l’Expo di Milano 2015 sarebbe come archiviare con un ‘mai’ una bella occasione dal respiro internazionale che abbiamo proprio qui, nel cortile di casa nostra: un vero peccato.
E allora? E’ iniziato il count-down prima della conclusione…Facile ipotizzare che si moltiplichino le code…Embè??? Sarà bene spicciarsi, acchiappare un biglietto e, se credete, seguire qualche (nostro) consiglio. 
1) Meglio treno o bus. Se non abitate a Milano (nel qual caso vi basta la metro), meglio raggiungere Rho col treno : ci sono parecchie coincidenze aggiuntive che vi portano direttamente in fiera, praticamente ogni 20 minuti da Milano Centrale o Milano Rogoredo. Oppure in pullman: molte agenzie di viaggi, addirittura con sconti se siete soci di qualcosa – tipo ipercoop – organizzano corse dedicate. Non è solo una questione economica/ecologica o di praticità (l’auto non vi serve a nulla). Considerate che sarete belli stanchi dopo aver sgambinato su e giù per il decumano, e l’idea di prendere un’autostrada una volta usciti non vi sorriderà affatto.
2) Evitate a tutti i costi i fine settimana. L’Expo vale un giorno di ferie, se proprio non riuscite diversamente. Noi siamo andati in un ‘tranquillo’ giovedi di settembre. Tanta gente si, ma davvero nessun problema/fastidio e code sopportabili (o nulle, come diremo più in là).

3) Niente levatacce. Vi aspettano chilometri: meglio arrivare riposati. Inutile accalcarsi prima dell’apertura, se poi dovete aspettare ore ai tornelli di controllo…Noi siamo arrivati col nostro trenino delle 11 (in 7/8 ore abbiamo visitato oltre venti di padiglioni) e c’era un po’ di gente in fila ma in 10 minuti eravamo già dentro.
4) Portatevi un pranzo al sacco nello zaino. Ok, sembra assurdo: si parla di ‘nutrire il pianeta’…possibile che non ci sia un panino per voi???? Ovvio che potete mangiare di tutto di più. Ma la domanda è se sia il caso, e la risposta dipende da quanto tempo e fame avete. Se pensate di dedicare a Expo solo un giorno, allora vi consigliamo di accontentarvi di spuntini qua e là (le patate fritte o i waffle belgi, l’ice drink chocolate del Congo…). Meglio un take-away multietnico e 3 o 4 padiglioni in più, che un paio d’ore seduti a tavola…no?
5) Non fermatevi alla prima osteria. Non intruppatevi subito al Padiglione Zero o al Padiglione Italia che appunto risentono del fatto di essere i primi a seconda degli ingressi. Decollate oltre. Sgambinate subito. Infilatevi nei1)   Infilatevi nei ‘cluster’ del riso, del cacao, del caffè: nella gioia colorata e ‘povera’ di isole e capanne esotiche (i piccoli gadget preziosi o divertenti). Attraversate il decumano per annusarne l’atmosfera, sorvolate come droni sul caleidoscopio di proposte, nel rutilante gioco creativo che scoprirete ad ogni passo.


6) Partite dal fondo, scegliete col cuore, iniziate dove la coda è scorrevole. Non stressatevi subito. Ci sono padiglioni bellissimi ma dei quali si è parlato meno, che meritano davvero il vostro tempo. Per esempio?


7) Ecco i nostri consigli…
Noi abbiamo iniziato da quello del Vietnam. Elegante e suggestivo, la leggerezza delle colonne di bambù a disegnare immensi fiori di loto, è un tuffo nell’Oriente più immediato e semplice. Impossibile rinunciare al richiamo dei gadget che trovate al piano di sopra: ventagli, segnalibro di carta di riso, biglietti/origami e soprattutto i tipici copricapi di paglia. Praticamente una moda: almeno una dozzina di passanti ci hanno chiesto dove trovarlo…Indossarne uno è già essere a Expo!!
Se evitate l’ora di pranzo (sono davvero tanti a cercare di assaggiare le famose panadas)  salite le rampe del padiglione Argentina: vi aspettano schermi grandi come tutte le pareti per avvolgervi di musica e storia, panorami mozzafiato e pagine di storia.
Invece è proprio all’ora di pranzo che dovreste visitare il Brasile. I venti minuti di coda li abbiamo spesi per mangiare i nostri panini e poi abbiamo ‘digerito’ sulle famose reti. Un autentico divertimento se avrete lasciato a casa i vostri amati e inutili tacchi alti…;)..
Sempre nel primissimo pomeriggio affacciatevi in Ecuador. Padiglione molto gettonato per la magia degli ologrammi che aggiungono suggestione al percorso articolato nelle 4 anime di un Paese ‘che ama la vita’, incredibile per la varietà di tradizioni e paesaggi.
Basta America Latina? Fate un salto in Germania, appena lì dietro. C’è molto da vedere e il percorso esterno vi porta ad accoglienti panche panoramiche che sono un toccasana per rilassarsi un po’. Per scendere? Un divertente scivolo…riservato ai giovanissimi (anche dentro?)…
Sempre terrazze panoramiche anche nel padiglione degli Stati Uniti, dove si salgono le scale senza problemi né code e si ammirano i giochi d’acqua che compongono parole, prima di rituffarsi nel mondo che aspetta fuori. Tutto di legno quello dell’Estonia (anche questo con altalene o cuscinoni dove stendersi un attimo). Ma niente in confronto alla terrazza lussuosa del Turkmenistan
Dopo un parterre di tappeti che raggiungono il soffitto, vi troverete immersi nella sontuosa schizofrenia di un mondo sospeso tra profumi ancestrali e avanzatissima tecnologia. Un mix sorprendente (e un po’ kitch) dal fascino certo quanto la ricchezza evidente (in regalo all’ingresso abbiamo ricevuto un’agenda di pelle…). Ben raccontata dal lusso pigro di immensi tappeti illuminati dallo schermo sferico di un ‘lampadario’ intelligente che proietta il mondo.
Anche la Turchia si può attraversare assaporando il contrasto tra modernità e storia. Ma se è proprio l’arte che cercate, infilatevi nel padiglione della Santa Sede: c’è un arazzo del Tintoretto dai colori splendenti. E tavoli multimediali dove condividere la vita.

A proposito: lo spettacolo dell’albero della vita è un fuoco d’artificio dagli effetti unici. Un piacere effimero che vi suggeriamo…di filmare. Non è la stessa cosa, ma sarà un bel ricordo.
Stanchi? Rinfrancatevi con un (consigliatissimo!) ice-drink-chocolate del Congo…Di nuovo curiosi? Sempre in tema di cioccolato infilatevi nel padiglione belga: a parte qualche gadget da mangiare (pastiglie di cacao, biscottini…) ammirerete un artista pasticcere intento a confezionare ogni cosa col cacao. Meno invitante ma decisamente da curiosare il piano di sotto: tra insetticommestibili scoprirete curiosi ‘acquari’ con tanto di pesci vivi e pianticelle appena nate. Si tratta dell’acquaponica, un ecosistema innovativo che potrete ammirare di persona. Di nuovo in fondo al decumano (ok, bisogna sempre infilarsi dove ci sono meno code) ecco il padiglione del Principato di Monaco: costruito con veri container, ha il grande merito – finito l’expo – di riciclarli e farli diventare autoambulanze destinate a Paesi poveri. Non solo, ma tutto il percorso molto giocoso (perfetto per far giocare bimbi di tutte le età) è un costante invito a riflettere su ambiente e risorse. E per vedere le splendide meduse fluorescenti, in una buia e magica saletta dedicata.  

Un occhio all’orario del treno ed ecco che ci resta un’ora esatta. La dedichiamo al Padiglione Zero che la merita tutta e che a quest’ora (sono poco più delle 17) è a zero code zero! E’ così bello che è un peccato anticiparvene la suggestione: dall’immensa libreria di legno all’ingresso, alla sequoia che fa ombra ai mille schermi che raccontano la storia dell’uomo, alla strana sensazione di trovarsi…sotto il pelo dell’acqua…
No, sarebbe un peccato conoscerlo prima. O non avere avuto il modo di scoprirlo, dopo. Anche a prezzo di qualche coda. L’Expo anche questo ci insegna. Come un fuoco d’artificio, come ogni istante della nostra vita, qui e ora non ritornerà.




mercoledì 16 settembre 2015

VIAGGIO NEL FUTUR(ISMO) di Rita Guidi

E’ un invito al movimento: atletismi d’arte, 
acrobazie dello spirito.

 Giacomo Balla racconta se stesso e il Futurismo, ovvero come muove un movimento. Pregio prezioso di una raccolta che incorniciando un (celeberrimo) autore, ne libera il respiro d’avanguardia, il prepotente Novecento.
E’ un invito a un autentico viaggio nell’arte, dunque, ma anche all’esplorazione/conoscenza di questo luogo, la Fondazione Magnani Rocca, residenza immaginifica di Mamiano, alle porte di Parma.
Qui vi accoglie il giardino dei pavoni bianchi,  silenzoso di verde. E’ il Parco che quieta Villa Magnani dove si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici. 
Museo attivo e conosciuto, dalla straordinaria collezione permanente (non a caso ribattezzato Villa dei Capolavori), ora ospita appunto la mostra ‘GIACOMO BALLA Astrattista Futurista’ dal 12 settembre all’8 dicembre 2015.  Un percorso che utilizza l’analisi del manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo, uno dei testi teorici più rivoluzionari dell’arte del Novecento, nel centenario della sua pubblicazione, sottoscritto dallo stesso Balla e da Fortunato Depero.

Astratto, dinamico, trasparentissimo, coloratissimo, luminosissimo, autonomo, trasformabile, drammatico, volatile, scoppiante…. Sono i temi di un’avventura scandita da una genialità dissacrante, da una sensibilità artistica radicalmente nuova. Un modo di cucinare l’arte…. Un ghigno…. Un movimento che ha lo stesso sguardo dei tanti autoritratti esposti qui. Un segno forte e inconfondibile. Come il caffè che Balla ci offre dalla tela: gli occhi vivi e sorridenti, che muovono il mondo. 

NELLA VILLA DEI CAPOLAVORI di Rita Guidi

Il giardino dei pavoni bianchi è silenzoso di verde.
Come il Parco che quieta Villa Magnani. Qui si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici.  Ma lui, di piu’, amava la musica. Luigi Magnani, professore e letterato, il cui nome rimanda alle tele che affollano le pareti di quella che è stata la sua  splendida casa, di più subiva e sognava le armonie dei capricci musicali.
Originario  di Reggio Emilia, dove era nato nel 1906 da Giuseppe ed Eugenia Rocca, laureatosi a 23 anni in Lettere moderne, scrive d’arte e di scultura, appunta idee per romanzi autobiografici, tiene conferenze, collabora persino ad alcune voci della celeberrima Treccani...e intanto compone.  “I canti di Michelangelo” per voce e pianoforte ; “I cori della Passione”, per voci sole; “La Pavane”; “La passacaglia”; “L’oratorio di Emmaus”, che verrà eseguito al Teatro Communale di Firenze, il 28 marzo 1943, durante un concerto sinfonico diretto da Carlo Zecchi, e replicato una sola volta il 4 aprile a Roma.
Debutto in  sordina, per una passione segreta. e appena d’imbarazzo, come un’amante. A Roma, dove negli anni ‘50 trascorrerà gran parte del suo tempo, alternerà all’insegnamento universitario concerti  che terrà li stesso, nel salotto di casa.  Anche il suo amore per la poesia inizia a venarsi di quest’altra passione. Pubblica saggi come Goethe e Mozart, Prolegomeni e Beethoven, Mallarmè e i miti della musica, tiene conferenze e cura trasmissioni RAI (Proust e la musica). Di lui dicono :”Se c’è uno che sarebbe in grado di riuscire a spiegare  alla gente  come si possa godere sibariticamente la musica di  Hindemith o  Schonberg, questo è proprio di Luigi Magnani”.
Proprio lui, Luigi Magnani, che parla e scrive di Michelangelo, che  collezziona Raffaello e Morandi, che protegge dai troppi sguardi l’oro delicatoe splendido di una madonna del ‘400 di Pietro di Giovanni  Ambrosi.

Niente di strano, allora, se a 62 anni dcide di partecipare ad un concorso per la cattedra di storia della musica all’Università di Pavia. Senza successo. Non  è lì  che deve cercarlo. Lo avrà, ma con un libro,   nel ‘73: “Il nipote di Beethoven” pubblicato da Einaudi, che vince il Campiello e da cui viene tratto un  film. E’ l’anno della cittadinanza onoraria conferitagli dal Comune di Parma. I giorni in cui Mamiano diventa sempre  più la sua residenza, la sua casa. Quella villa di campagna dove giungono onorificenze ed amici, dove raccoglie ed assomma i suoi gusti e  le sue scelte. L’arte,il verde (nel ‘79 gli viene conferito il premio mondiale per l’ecologia) ...e naturalmente la  musica. Come avesse voluto colmare, con essa, le assenze di uomini  e di suoni dei polverosi schizzi di Morandi. Coome avesse voluto dire che accanto al Goya e al Durer, a Monet o al Lippi, c’era anche, ed era sua, quell’algida e provocatoria Tersicore del Canova.  Che, insomma, anche questa Musa ha lasciato.
La Fondazione Magnani Rocca è oggi un Museo attivo e conosciuto. prestigioso e discreto nelle iniziative, elegante nelle scelte  e nei particolari, è frequentato con costante regolarità da visitatori  italiani e stranieri. Numerosissimi a tratti, per le Mostre di grande richiamo: di grandi artisti o di grandi collezioni, perchè questi sono i due motivi conduttori delle iniziative. In ideale continuità con ciò che Magnani aveva iniziato. Come si farebbe per un amico. Perchè qui si viene a trovare l’arte come si fa con gli amici: a casa del professore. Anche se lui avrebbe preferito si dicesse “a casa del maestro”.

(FONDAZIONE MAGNANI ROCCA via Fondazione Magnani Rocca 4 43029 Mamiano di Traversetolo, ParmaTel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337  info@magnanirocca.it )

sabato 12 settembre 2015

DOVE OSANO LE MENTI di Rita Guidi



 E’ in questo ignoto che abitano i timori e la bellezza. Nuove frontiere di una verità che assorbe le trincee della conoscenza per fondersi in una e una soltanto. Traguardo inesatto che non sfugge a chi, tra i fisici “esitanti sull’orlo dell’inconoscibile” (per dirla con Primo Levi), possiede una più fine sensibilità.
 E’ questo il caso di Carlo Rovelli, ed è per questo che il suo “Sette brevi lezioni di fisica” (Adelphi, 88 pagg., 10 euro) è un autentico caso. Perché svettare nelle classifiche di vendita con un saggio che spazia dalla Teoria della Relatività alla Fisica delle Particelle è tanto meritato quanto inconsueto.
 E la risposta, come spesso accade, è nel perfetto equilibrio tra profondità e leggerezza; in un contenuto dal fascino irresistibile, complesso, disarmante e in una prosa dolcemente semplice, come il sussurro di una confidenza, di un segreto.
Non è improprio affermare che costruisce poesia, Rovelli, spiegandoci l’Universo più piccolo e più grande della materia indagata. Un’operazione in sette piccoli passi che come primi astronauti ci regala d’un balzo una tutt’altra visione del reale.

Solo qualche pennellata di un affresco ancora da costruire, “perché la scienza ci mostra come meglio comprendere il mondo, ma ci indica anche quanto vasto sia ciò che ancora non sappiamo”; ma con l’umiltà e la chiarezza che sono propri dei grandi studiosi, l’autore ci racconta meraviglie e difficoltà di quanto intuito da Albert Einstein, di un Universo come un grande mollusco inquieto e pulsante dove il ‘vuoto’ ha la consistenza (misteriosa) della gravità; e della meccanica quantistica, per la quale invece “il mondo è un pullulare continuo e irrequieto di cose, un venire alla luce e uno sparire continuo di effimere entità.

 Un insieme di vibrazioni, come il mondo degli hippy degli anni Sessanta. Un mondo di avvenimenti, non di cose”. Posizioni contrastanti, schizofreniche, ma che funzionano su ciò che sappiamo della materia: quella “dei sorrisi dei ragazzi alle feste, e del cielo nero e stellato la notte”…
 La sfida più bella sarà ora comprendere, unire. Perché “questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa. Della trama di cui siamo fatti noi stessi”. “... siamo tutti nati dal seme celeste”. E’ così che Rovelli ci porta a Lucrezio.

P.S.
E per chi volesse 'avvicinarsi' oltre le pagine di questo libro (cui aggiungiamo senz'altro quello di Marco Delmastro "Particelle familiari"), alle affascinanti frontiere di questa conoscenza, corre l'obbligo un viaggio per visitare il CERN di Ginevra, Come? Ecco qualche utile info:

http://www.borborigmi.org/2012/01/26/vademecum-per-venire-a-visitare-il-cern/
                                                   



venerdì 10 luglio 2015

Barcellona? Vuol dire Mercè... - di Rita Guidi

L’importante è essere ubiqui. Se c’è qualcosa da mettere in valigia, partendo per la Spagna, è proprio questo così particolare dono...oltre a quello - per una volta - di programmare per tempo questo viaggio/appuntamento da non perdere.

Barcellona, per cinque giorni l’anno, lo pretende. Lo esige la Mercè , sagra totale e impazzita, nella più pura tradizione catalana (e precisiamo catalana, perché qui ci tengono), che invade ogni strada e minuto dell’ultimo fine settimana di settembre.
Dal 20 al 24, quest’anno, per non sforare (non sia mai) in ottobre, e per bruciare come sempre la vita dell’ultima estate e risvegliarne una nuova. Sacro e profano, riti pagani e religiosi, si confondono infatti in queste notti e giorni di feste continue.   Mercè, del resto, sta per ‘Madonna della Mercede’, patrona della città cui si accorre in processione, al tramonto della domenica, a baciarne le reliquie. Si trovano nell’abside alta di S.Maria del Mare, esempio tra i più dolci e superbi di gotico catalano. La gente scorre silenziosa in alto, oltre l’altare, mentre sotto gli altissimi colonnati si celebra, cantando, l’antica funzione. Fuori è già e ancora vivo il tambureggiare di un’altro corteo : maschere e carri hanno percorso tutto il giorno le ramblas, ed ora giungono fino al porto per gli ultimi fuochi, prima di tornare ad una piazza del centro. Non Piazza del Duomo : già pronta ad un altro spettacolo, una dolcissima voce di flamenco, dopo il Co’de Foc della sera prima. E’ questo ‘carro di fuoco’, drago enorme ed umano, una delle tradizioni più antiche del sabato notte della Mercè. Nella piazza stipata di gente (vi consigliamo, se riuscite a raggiungerli, i gradini del duomo, spesso ‘liberi’ perchè alle spalle del palcoscenico), un enorme biscione infuocato brucia gli spiriti maligni sul suolo sacro del sagrato.
Tutti possono accodarsi e ballare i ritmi ossessivi dei tamburi (vino, birra e...tappi per le orecchie, circolano più o meno obbligatoriamente).
Intanto, nelle altre piazze (vi dicevamo di essere ubiqui !) si balla a ritmi rock o disco, e non mancano concerti ‘alternativi’ o tradizionali, leggi la Banda di Barça. Sgomitando un po’, potrete trovarla in Plaça de Jaume, preparata con tanto di sedie per il pubblico. Alle spalle l’ennesimo Bocatta (il Mc Donald spagnolo) è sempre aperto per sostenervi con qualche spuntino. Perché non illudetevi : di prima mattina, e proprio qui, iniziano le gare di Pilar e Castilli. Avete presente quelle torri umane ‘semplici’ (pilar) o circolari (castilli), che spalla dopo spalla svettano a cinque, sei, sette piani ? Vince chi non cade, è ovvio, ma per tutti, il tifo del pubblico è il più incoraggiante sostegno.

Tra cortei, esibizioni, e...paellas, sarà presto di nuovo sera, e dunque danze, maschere, concerti...Seguiteli tutti : essere ubiqui, però, per una volta non sarà necessario. I fuochi d’artificio che esplodono l’ultima sera da Montjuic, si vedono anche da molto molto lontano. 

mercoledì 17 giugno 2015

Il Paese Incantato - Metti l'Austria nelle tue vacanze (2) - di Rita Guidi

La prima cosa e` l`aria.   Trasparente anche quando il clima incerto dei laghi non concede il sole.  Poi e` un'immersione. Non solo in quest'aria, appunto (atmosfera...), ma nello scorrere appena più lento del tempo, verso Salisburgo.

   "Il Tirolo e` una grezza veste di contadini con molte pieghe, pero’ riscalda piacevolmente", diceva l'Imperatore di fine '400 Massimiliano I^.
   Le ultime pieghe le trovate qui, prima dell'incresparsi austriaco della regione dei laghi. Prima dei battelli o delle miniere, delle cattedrali gotiche o delle fattorie incantate. Si, anche questa è Austria.
   Ma è ancora Tirolo nell'ultima malga: dopo Innsbruck verso Kirchberg, contraltare tranquillo ma ugualmente splendido e attrezzato (piste, hotel...) della più mondana Kitzbuhel (almeno un occhio, però, al suo centro e alla sua cattedrale – e all'altare - barocca di St. Andreas), si sale a Labalm.  Una malga-pub-ostello-palcoscenico per concerti, perduta nei suoi mille e chissà quanti metri, con un ciuffo di anatroccoli e una cappella grande come un'immagine dedicata a S.Giorgio.    Dai piccoli tavoli, le vette (una cascatella lontana) e la musica: l'oste in costume vi può servire qui anche lo spumante dal perlage più sottile e insistente.

   Piega  più ricercata e antica, invece,  nella vicina Hall. Una città, questa volta, che riserva e conserva una storia di sorprese. Prima di tutto per il suo castello.  Nella zecca di Haseff infatti (cosi` la dimora si chiama) fu coniato nel 1486 il primo tallero (da cui 'dollaro' se vi piacerà aspettare almeno fino alla scoperta di Colombo), frutto di un'importante riforma monetaria. E potete coniarvene uno pure voi, nell'antica pressa a vite ancora a disposizione  (o se preferite con una più rustica martellata), con un solo piccolo sforzo muscolare e naturalmente...finanziario.  E` anche il gesto tipico di chi
da queste parti si sposa, perché dicono per scaramanzia che, in ogni caso, "se il matrimonio passa la moneta resta"...
 La cerimonia si celebra nel 'Tetto d'oro', la cappella dedicata a S.Giorgio che Massimiliano I^ (ancora lui) fece costruire per le sue nozze con Bianca Maria Sforza. Non vi sveleremo il `divertissement` della botola vicina al soffitto, ma accenneremo al tocco di Leonardo (proprio da Vinci) che qui ha lasciato come tracce il disegno dell'intelaiatura dei lampadari (ispirata alla crescita dell'atomo) o...quello della ghigliottina (!!!...).

   Del resto l'atmosfera e` più medievale che rinascimentale. E lo e' (eppure solo al limite del kitsch ) più che mai alla 'Cucina del Cavaliere`.  Il Ritterkuchl è proprio un posto da non perdere.  Annunciato dal più che classico portone cigolante, è un ristorante (la sala è davvero del '400) che vi sprofonda in tutto e per tutto nel buio delle cucine di quattro o cinque secoli fa.
  Un tovagliolone al collo al posto delle tovaglie, un coltellaccio e un piatto di legno nelle lunghe tavole da banchetto, candele e fantasmi ad annunciare con battito sinistro le portate...Tranquilli, però: paioli o vassoi sui tavoli riservano cibi davvero squisiti, quanto i vini o le birre nelle brocche.
   Ma lo stesso termine Hall di questa città, riecheggia a quel sale che fu fonte di duro lavoro e di ricchezza in questa valle.  Ricchezza per le tasse dalle quali gli imperatori trassero i fondi per costruire i loro immensi palazzi; duro lavoro per i minatori. Anche se dei monti dell`Austria  è bello oggi vedere anche il cuore. 
 A Durnnberg, per esempio, dove le miniere di sale da luogo  di passione sono diventate ormai meta consueta dei turisti. E sarà per la suggestione degli anfratti sotterranei ("illustrati" da filmati , allestiti come musei )o per l'autentico divertimento di precipitarsi dagli altissimi scivoli di legno - imbacuccati in tute bianche come gnomi - nel cuore della terra, queste miniere più che di sale sono d'oro per la gente di qui.
   Curioso che il primo frutto dell'estrazione salina da queste rocce, i minatori la chiamassero "sole". Proprio così; proprio come il desiderio di quella luce che  attende fuori, una volta tornati a cavallo del vostro trenino.
   Il sole dell'Austria. Quello che addolcisce i laghi di questa regione dolcissima, solcati da battelli e da vele, costeggiati da paesini ordinati e grandi ville.   Armonia come musica dove tutto si chiama come Mozart. Poteva non chiamarsi Wolfgangsee questo grande specchio d'acqua limpida?   Eppure prende nome dal santuario di St.Wolfgang, vecchio di mille anni e dal famoso altare (di Pacher), meta di pellegrinaggi da sempre.
   Ma anche meta di villeggiature da sempre. Perché si racconta che quella certa idea aristocratica e un po` oziosa sia nata proprio qui, dai desideri di sangue blu degli Asburgo. Dal solito Massimiliano e da Francesco Giuseppe, marito di Sissi; qui c'era sempre un `rifugio` inventato da loro.   Una traccia imperiale e' ancora in un personaggio dell'operetta `Al Cavallino Bianco`; in ogni caso in quel caffe' potete ora sorbirvi tè gustando una torta, dietro vetrate eleganti e un poco snob.   Oppure imbarcarvi per Strobl, Bad Ischl, St.Gilgen...E gustare le trote piu` fresche del mondo, perché le "furellen" sono qui una vera specialità in ogni ristorantino affacciato sul lago.  O invece abbandonarvi ai riti di una più accesa mondanità dirigendo al vicino Casino' di Salisburgo. Tra impassibili abiti da sera o tese giacche prestate di febbricitanti habitué, potrete vivere il brivido intenso del tavolo verde.

   Tanto al ritorno a St.Gilgen il relax e' assicurato. E' un'Austria soffice, questa, che addolcisce addirittura la sua cucina dolce.  Alla rustica forza del `kaiser' tirolese, si sostituisce qui il tipico ed onnipresente Salzburger Nockerl : stessi ingredienti ma in versione souffle`.

                                          Rita Guidi
  



   LA VACANZA ALTERNATIVA

   Il fatto che ci andasse anche il Cancelliere Helmut Khol non vi tragga in inganno.  Nulla di terribilmente chic. (O invece si'?) Ricercato, meglio. Nel senso che dove lo trovate più un posto dove tutto ma proprio tutto quello che mangiate viene fresco fresco da li`? Pane fatto in casa,  sidro,latte e formaggi, salumi... Arrosti, torte, Salzburger Nackerl ecc. ecc.?   E' la fattoria del contadino Holzinger, meta dei salisburghesi ben più che dei turisti, che si rilassano qui tra i tavoli esterni o le salette di questa splendida e familiare cascina affondata nel verde.
  Rippel ( e cioe` costolette di maiale ) o piatto misto di salumi e formaggi, salse e verdure, questo è il ristorante più antico e famoso, aperto con questa formula da ormai venticinque anni. Ma è un successo che è stato subito imitato.    Di queste fattorie ne trovate in tutte e cinque le valli
della regione della Salzburger Land (Flachgau, Tennengau, Pongau, Lungau e Pinzgau), ma la novità è che adesso, in gran parte di esse si può anche dormire e soggiornare.
   Le chiamano fattorie in paradiso o fattorie romantiche (a ragion veduta) ed offrono programmi per un’ospitalità davvero invitante.  Ci sono soggiorni a tema ( per chi ama la pesca o il golf, l’equitazione o il ciclismo, la musica o quant'altro), o invece pensati per chi ha famiglia e soprattutto bimbi. Per loro, mentre i genitori possono passeggiare, riposare, vacanzare.., ci sono giochi e accompagnatori, escursioni e pernottamenti in malga, e possibilità di imparare a fare il pane e conoscere da vicino gli animali della fattoria...

domenica 14 giugno 2015

Il Paese Incantato - Metti l'Austria nelle tue vacanze (1) di Rita Guidi

  La chiamano "sparkesland", la terra dei forti, ma noi preferiamo "Zauber Land". Paese incantato, magico, se ci perdoneranno il nostro tedesco un po’ incerto.

   Perche` il Tirolo e` davvero un mondo vicino al confine col "c'era una volta". Guardate il legno : mille e uno i tronchi, accatastati o lavorati; profumati o tagliati.  Guardate l'acqua : mille e uno i rivoli e le cascate, terse o cupe di neve disciolta, che precipitano sottili come ferite soffici nel verde denso e roccioso.  Non c'e` sempre una casetta di legno nelle fiabe o ruscelli freschi a cui dissetarsi ?
   Pareti a picco e paesi a valle, il Tirolo pero’ nasconde dietro balconi fioriti e facciate splendidamente decorate, l'invito ad una quotidianità’ oltretutto assolutamente moderna.  Soltanto, non dimentica della propria tradizione.
   Gli hotel, ad esempio, e cioè` le Gasthof, sono intese qui come un 'affare di famiglia`.  Il rito sacro dell’ospitalità, che cosi` ritrova un valore antico, si tramanda di padre in figlio, tradizione appunto, prima che mestiere.
   Per questo trovate spesso, sotto l'insegna dell'albergo, il nome della famiglia che da sempre lo gestisce. E per questo non deve sorprendere che, ad esempio il 'nostro` Gerhard Haas, a poco più` di trent'anni diriga già da tempo la sua Gasthof (cinque stelle), serva il buffet con la moglie o si presti come guida per una sciata estiva, su, al grande ghiacciaio. 
 
Da Neustift a Mutterberg (la madre montagna...)sono solo un pugno di chilometri, che si arrotolano tra i dirupi e le malghe; cavalli e piccole spiagge lungo il Ruiz, campeggi e pugni di case che racchiudono stube antichissime (quella di Volderhauf ha cinquecento anni).  Ma poi occorre la funivia. In alto, oltre i duemila metri : capre, rocce e la vallata sotto. Più in alto, oltre i tremila : il bianco di una neve che c’è sempre, e il gioco delle cime, dal privilegio di questa valle dello Stubei.  Il silenzio rotto solo dal ritmico ronzio degli impianti, o dalla modernità dei rifugi.
   Ma basta girare lo sguardo, perché tutto qui è come sempre. Zauber. Incantato. In questa terra 'spark', dura, dei forti.  Acqua e roccia. Freddo da vincere come una scalata. Con le danze e  col cibo anche.
  La cucina non è per stomaci deboli. Se obbedite alla tradizione ciò che conta è dar forza senza ingombro, calore senza  intorpidire.   Domina tra la carne il sapore intenso del maiale : ovviamente lo speck, ma non solo insaccati. Poi canederli, crauti (grappa...).  Ma sono imperdibili i formaggi, anche lavorati con sodi e sugosi gnocchetti ( di farina? o pane?) in un piatto tra i più tipici di  qui.
  In ogni luogo, poi ( ristorante o caffè, ma noi vi consigliamo la malga che incontrate abbandonando il ghiacciaio per tornare a Neustift, proprio sotto le spettacolari cascate di Gruba, le Grubafall), non manca mai il 'kaiserschmertz'.  Un dolce che vi servono spesso direttamente in enormi padelle cui si attinge tutti insieme, attorno ai grandi tavoli in legno di queste piccole e semibuie stanze.  Una frittata dolce e alta a tocchetti, cosparsa di zucchero a velo, da intingere e cospargere di marmellata morbida di mirtilli. E cioè  un “racconto”  di queste montagne : l'autosufficienza austera e nutriente delle uova, sotto una neve dolce, da unire alla frutta che sola cresce su questo terreno avaro.
  Ma è un piatto da re. Anzi, da imperatore. O da chi voglia, dopo lo sci, ritrovare l'energia per 'rabbrividire' su un deltaplano o sfidare gli amici tra tennis, piscine e mountain-bike.
   Perché dietro gli antichi decori trompe-l’oeil che adornano queste facciate; dietro la tranquillità e l'ecologico silenzio che avvolge questa terra, c’è davvero la stessa, abituale, invidiabile modernità dei nostri giorni di sempre.

                                          Rita Guidi



   LA VACANZA ALTERNATIVA


   A proposito di malghe : pensate ad una vacanza davvero alternativa? Da qualche tempo, da queste parti, è possibile affittarle. E con prezzi più che abbordabili, ma non a caso…      Le malghe venivano usate come luogo di ristoro dai pastori di queste valli. E cioè quanto bastava per ripararsi, mangiare, semmai dormire. Ogni comodità a valle.
L'acqua infatti è fuori, la luce a gas (!!!). Eppure funzionano, perché per gli estremisti dell'agriturismo è una vera cuccagna. E indubbiamente un certo fascino l'hanno: con quel legno scurissimo e totale, quel rigore rustico dalle finestrelle grandi quanto un'occhiata, e che contrastano con una natura cosi` forte e violenta intorno.
   Eh si'! Dev'essere davvero un singolare risveglio, la mattina, qui...