lunedì 22 novembre 2021

ROBI BONARDI MIND AL CUBO - 100 MINUTI DI ROCK di Stefania Zanardi

 



Ubicazione : il CUBO, luogo di incontro, di ritrovo, di eventi, molto “à la page” da qualche anno a questa parte, scelto per una serata all’insegna della Musica Rock  e di ciò che  le gravita attorno, passato, presente, futuro in un contesto che si estende a 360 gradi. Sulla scena (palcoscenico ma non troppo), pannelli con esposti Vinili d’epoca, unici ed indimenticabili, uno schermo grande a sufficienza per riuscire a coinvolgere il pubblico presente.

Motivo della serata? Robi Bonardi Mind, iniziativa che vede (nel backstage) la presenza, l’impegno e la passione di Francisco, Jacopo e Cecilia nel ricordare a Parma e ai parmigiani lo storico DJ .

Il nome dell’evento è: “Rock History, i 100 minuti del Rock”, che viene condotto da Gabriele Medeot, musicista, divulgatore, autore e promotore di vari progetti innovativi.

 Inizia l’avventura. Anno 1965: scorrono sullo schermo riviste, cover di Bands che hanno scritto la storia ; le polveri prendono fuoco (cit. ),si inizia a parlare di rock, di volume acustico,di testi ed avvenimenti storici come la guerra del Vietnam o le prime rivolte giovanili, fatti e fattacci dei quali i dischi parlano e raccontano.

Un esempio? “ Help” dei Beatles, “ Satisfaction” dei Rolling Stones, i disagi dei ragazzi dell’epoca, l’esplosione della Chitarra elettrica ,tutte testimonianze di grandi passaggi epocali.

E, passo a passo, arriviamo gli anni ‘70, definiti la “Cattedrale del Rock” che però ,in quel decennio, vedrà anche la sua fine.

Il conduttore della serata, con un’eloquenza ed una chiarezza invidiabili, si addentra negli eventi e nelle situazioni di quel decennio : austerity, conflitti mondiali, Irlanda del Nord contro Inghilterra, Nixon e una classe politica che non esce certo vittoriosa dalle sue scelte. E la musica ?

Spostandoci a New York si parla del club CBGB, culla iconica del rock rivoluzionario, punto di incontro  per giovanissimi (e altrettanto fragili) musicisti, alcuni dei quali muoiono troppo presto a causa di abuso di alcolici e droghe. 

Arrivano i Deep Purple –  ben 4 dischi in due anni! - i Led Zeppelin e i

Black Sabbath con la loro mitica “Paranoid”,canzone nel cui testo si evidenziano  le paure e le incertezze di quel periodo. Inizia poi a prendere piede la musica “Progressive”, tipica degli anni ‘70, un genere autocelebrativo che, nel corso del decennio vedrà il successo planetario dei Pink Floyd e del loro capolavoro “The Wall”. 

Ma non tutti amano questo genere di musica: nasce quindi uno stile differente, per esempio quello dei Kiss, dove con le loro maschere, vogliono camuffare la loro identità e il fantastico quanto visionario “Sergent Pepper” dei Beatles.

A questo punto arrivano sulla scena Marc Bolan con i suoi T.Rex, estroso musicista che combina musica e moda facendo emergere il Glam, che sarà anche una marcata caratteristica di  David Bowie. Nella sua infinita creatività, darà vita al “personaggio” Ziggy Stardust ed arriverà addirittura a farlo morire sulla scena. Bowie, tra le sue genialità, ha citato tantissimi artisti, colleghi ed è arrivato persino a citare se stesso!

Sempre in quegli anni  arriva l’hard rock degli  ACDC  di Angus Young che pubblicano il loro primo album “ High Voltage”, e subito a seguire “TNT” dischi che saranno punto di riferimento anche negli anni successivi . Verso la fine degli anni 70, emergerà il Punk,  una musica e uno stile distruttivi dove, per essere riconosciuti e ricordati è necessario vivere ai 110 all’ora. Si sta sul palco, capaci o no, musicisti o strimpellatori, cantanti o urlatori poco importa: si tratta spesso di ragazzi disagiati che cercano nella musica una chance proponendo canzoni che evidenziano la tragicità delle loro vite.

 Si fanno strada i Ramones, provenienti dai Queens di New York  e  i londinesi Sex Pistols che hanno il coraggio (o l’incoscienza?) di indossare sul palco magliette con la dicitura “ I Hate Pink Floyd”, in un momento in cui questi ultimi erano una delle band più amate del pianeta e pubblicando nel 1977 il loro primo, unico e provocatorio disco, “Never Mind the bollocks”.

 E’ proprio in questi anni che, anche le donne, entrano a fare parte di questo mondo: Patti Smith, Sacerdotessa del Rock anni ‘80, ne è l’emblema.

Di testi indimenticabili ne è piena la discografia: The Wall, Message in a bottle, Video killed the radio star e, da non sottovalutare, la nascita di MTV-

Un capovolgimento di situazioni e azioni : gli anni ‘80 raccontano un decennio dove gli Stati del mondo non sono (fortunatamente) coinvolti in guerre o dissidi interni, in Inghilterra come primo ministro abbiamo una donna- Margaret Thatcher- e intanto la musica inizia ad essere riprodotta su nuovi supporti, CD, Minidisc etc. 

 Sono gli anni del Concerto Live Aid e della Band Aid di “Do they know it’s Christmas?”, Michael Jackson metterà nero su bianco We are the world, con Lionel Richie e tantissimi altri artisti.

Proprio del Live Aid, il pubblico in sala ha potuto assaporare alcune scene,  supportato dal racconto chiaro e avvincente del conduttore; il concerto- che si svolse in contemporanea a Filadelfia e Londra- vide la partecipazione di tutto il mondo del rock. L’organizzatore Bob Geldof riuscirà a mettere sul palco, tra gli altri, Madonna, David Bowie Phil Collins  i Queen di Freddy Mercury ( che si esibiranno in una strepitosa performance) e gli U2, con Bono sceso tra il pubblico (atto assolutamente illegale in quegli anni) per abbracciare una fan, al punto che questo gesto verrà considerato “un abbraccio del rock al mondo”. Ben 2 miliardi di spettatori seguiranno in tv  questo evento più unico che raro.

Tra cambiamenti, cadute e rinascite gli anni ‘90 sono alle porte. 

1989, caduta del muro di Berlino e il motto del periodo è “The future is in the air”. Negli anni ‘90 arriva il “ Grunge”, che ha più connessioni con la moda ma che darà origine anche ad uno stile musicale ben definito. Una decina i dischi fondamentali di questo periodo, tra essi certamente Achtung baby degli U2, con un suono  decisamente innovativo. Siamo nell’epoca  del Desert Storm, della Guerra in Kuwait, la Cecenia, la guerra dei Balcani, la fine dell’Unione Sovietica. Si riscrivono le mappe geografiche e tutto è in cambiamento.

Anche la tecnologia avanza e contemporaneamente  cambia il modo di fruire della  musica.

Anno 1999, l’industria discografica mostra segni di cedimento e prende sempre più piede la musica liquida. Infatti Steve Jobs rivoluziona la nostra quotidianità creando gli I-pod, dispositivi che permettono di immagazzinare  migliaia e migliaia di canzoni .  La globalizzazione entra a pié pari nella società mentre il nuovo rock ed i suoi creatori si trovano in disaccordo totale con tutto ciò.

Pearl Jam, Nirvana, Soungarden offrono musica e testi con storie autentiche, .  Si parla di Nichilismo, depressione e disagio sociale e familiare ( la scomparsa di Kurt Cobain), una generazione definita “X generation” che non ci sta a vivere la propria esistenza seguendo le regole vigenti.

E’ il momento del Rap e dell’Hip Hop con Eminem, i Beastie Boys, Kanye West. Un genere che esplode e non solo tra il “black pepole “: Eminem, rapper bianco, bullizzato dai ragazzi di colore (un razzismo all’incontrario), finisce in coma e, proprio in quella tragica situazione ,scrive un testo “My name is” raccontando della sua vita, le sue tragedie e le lotte contro il mondo intero. Ora, famoso e con qualche soldino in più, si leva dalle scarpe parecchi  sassolini conquistando comunque grande rispetto e  stima anche dai rapper di colore 

Ed eccoci al finale: si parla di musica didascalica, artisti che raccontano ciò che vedono, legata a volte ad una visione folle del mondo e della vita!

Come termina la serata? Naturalmente col celebre video e di John Lennon e Yoko Ono e la sua “Imagine”, sogno, utopia, speranza, follia?

Unica certezza ; una canzone, anzi un dono di John Lennon indimenticabile.

E, conclude Gabriele Medeot,  di un sognatore quale era Robi Bonardi.

                                                                          Maria Stefania Zanardi

                                                                    (consulenza di  Marco Manfrini)

giovedì 18 novembre 2021

QUANDO IL PURGATORIO E' UN PARADISO D'ARTE - APRE IN PILOTTA LA GRANDE MOSTRA 'UN SPLENDOR MI SQUARCIO 'IL VELO - a cura di Rita Guidi

 


Una grande mostra, due percorsi monografici paralleli se pur fisiologicamente congiunti, la scoperta di una sede magnifica, le Scuderie Ducali appena restaurate e rese sede espositiva della Grande Pilotta. È quanto la Direzione del Complesso monumentale della Pilotta propone, dal 20 novembre al 13 febbraio 2022, nell’ambito del progetto "Dante e la Divina Commedia in Emilia Romagna", un percorso espositivo diffuso che valorizza il patrimonio dantesco di 14 biblioteche e archivi storici in cui l'autore della Commedia, dopo l'esilio, trovò la sua seconda patria.

Il titolo del progetto - Un splendor mi squarciò ’l velo -  tratto dal trentaduesimo Canto del Purgatorio ha ricevuto il prestigioso patrocinio del comitato per le celebrazioni Dantesche. È l’apporto della Nuova Pilotta voluto dal direttore Simone Verde ed è tra quelli di maggiore qualità e che di fatto chiude in grande stile i festeggiamenti in onore del sommo poeta in questo 2021.

A prefigurarne il contenuto della mostra sono le due citazioni del sottotitolo, ovvero “il codice 3285” e il nome di Scaramuzza. Il codice citato è uno dei maggiori tesori della Biblioteca Palatina, capolavoro già appartenente ai Danti del Cento, è riconosciuto come una delle più antiche trascrizioni della Commedia dantesca (risale ai primi del ’300), dotato di uno straordinario apparato decorativo. Il volume è stato recentemente oggetto di una campagna di restauro e della completa digitalizzazione finanziato dal Lions Club di Parma. Intorno, e accanto, Giuseppa Zanichelli ha ideato un percorso che svela al pubblico l’importantissimo patrimonio di opere dantesche, manoscritte e a stampa, posseduto dalla Biblioteca Palatina. Tesori bibliografici (e artistici) acquisiti nei secoli dai Farnese, dai Borbone e, infine, da Maria Luigia d’Austria per arricchire la loro Biblioteca.

La seconda citazione proposta nel sottotitolo menziona “Scaramuzza”. È riferita all’artista parmense Francesco Scaramuzza, che eseguì i dipinti murali con tecnica ad encausto a freddo tra il 1841 e il 1857, al fine di impreziosire con la sua opera la Sala Dante della Biblioteca Palatina, che conserva la magnifica raccolta di manoscritti, incunaboli ed edizioni rare dantesche, passione e vanto della ducea di Maria Luigia d’Asburgo. Questo prestigioso incarico diede spunto al pittore per una ulteriore impresa: illustrare l’intera Divina Commedia e già nell’anno del centenario, il 1865, a Firenze vennero esposte le sue tavole riguardanti l’Inferno.

Nel 1876 Scaramuzza termina l’avvenutura titanica di illustrare l’intera Commedia, in tutto 243 cartoni a penna, che sono l’oggetto dell’esposizione a lui riservata alle Scuderie Ducali. Lo studio di queste affascinanti opere ha consentito a Simone Verde di rileggere, in catalogo, l’opera di Scaramuzza alla luce della riscoperta (o scoperta) della Commedia dantesca che, dopo secoli di sostanziale oblio, ebbe inizio nel secondo Settecento e nell’Ottocento, dapprima in Inghilterra per contagiare in successione la Francia e la Germania e influenzare infine anche l’Italia e lo stesso Scaramuzza.

Un splendor mi squarciò ’l velo offre, quindi, al visitatore la prima organica esposizione di codici danteschi che di norma sono aperti alla sola ammirazione degli studiosi e la scoperta dell’intero corpus - straordinario - di disegni danteschi dello Scaramuzza. Il tutto nel contesto delle restaurate Scuderie Ducali, nuovo spazio espositivo della Pilotta. 

Magnifiche e monumentali, le Scuderie sono collocate al piano terra dell’ala nord del Palazzo. “Rappresentano – afferma il Direttore Verde – un contesto di altissimo pregio architettonico e spaziale, datato alla fine del Cinquecento, che si estende per una superficie complessiva di circa 1.500 mq ed è contraddistinto da una distribuzione volumetrica a manica posta parallelamente al cortile del Guazzatoio. Altezze e maestosità dei solai voltati sono le caratteristiche di grande rilevanza che definiscono il luogo; inoltre, all’interno sono ancora perfettamente conservate sul perimetro le 90 mangiatoie antiche per i cavalli in pregevole materiale.

Una occasione davvero da non perdere, ulteriore anteprima della Nuova, e sempre più grande, Pilotta.

 

 

ORARI DI APERTURA:

20 novembre 2021- 13 febbraio 2022

Dal martedì alla domenica dalle 10:30 alle 18:30 (chiusura della biglietteria alle ore 17.45)

Lunedì chiusura settimanale

Accesso alla mostra da via Bodoni;

Biglietto intero: 10 €

Biglietto ridotto gruppi: 8 €

Ridotto dai 18 ai 25 anni € 2,00;

Gratuito per i minori di 18 anni

 

Biglietto solo mostra con accesso alle Scuderie, (con validità estesa per 3 mesi, con possibilità di soli 2 ingressi): 8 €

Biglietto integrato Complesso monumentale della Pilotta e mostra con validità 1 solo giorno: 15 €

Biglietto integrato ridotto gruppi € 13,00 (massimo 25 persone con guida abilitata esterna).

sabato 13 novembre 2021

NELLE OMBROSE STANZE DEL VATE - INVITO AL VITTORIALE di Rita Guidi

 



Curioso di quanto buio avesse bisogno chi, come lui, amava la luce.

Gabriele D’Annunzio si abbandona alla penombra fin dall’ingresso di questo suo Vittoriale. Residenza ultima dell’ormai quasi sessantenne poeta, dal 28 gennaio 1921, fino alla morte, avvenuta proprio qui il 1° marzo 1938.

Fuori Gardone Riviera, e il riverbero dolce del lago, dentro lui, e la scelta di un buio palcoscenico, come a sedare i troppi riflettori di una vita, prima ancora che la dolorosa ferita di guerra agli occhi. Perché è lui a volerla così : e così ristruttura, col fidato architetto Gian Carlo Maroni, quella Villa Cargnacco, (precedentemente occupata dal critico d’arte tedesco Henry Thode) che acquista insieme ai circa nove ettari circostanti.

Una delle sue tante volontà realizzate, che chiamerà "Il Vittoriale degli Italiani” : un dono (l’atto di donazione è immediato, porta la data del 1923) per ricordarsi, ricordare, essere ricordato. 

“Io ho quel che ho donato” si legge all’ingresso di questo immaginifico luogo, in una delle tante epigrafi che punteggiano di parole (poteva non essere così ?) la sua presenza. 

“Tutto è qui da me creato o trasfigurato” insiste e scrive lui stesso. Uno stile da passeggiare, fuori, al suono dell’acqua verde della grande “fontana del delfino”, o a quello incessante del Riosavio e del Riopazzo, lungo i giardini privati. Ancora acqua, ferma, di lago, come cornice al teatro all’aperto ; o come ricordo : alla prua incastonata nel colle della nave Puglia, o alla prora del M.A.S. ; testimoni svelate di beffe e di imprese del giovane D’Annunzio.

L’esteta luminoso e illuminato dalla fluorescenza delle proprie parole, vive qui. Al buio. Sollievo alle cicatrici dello sguardo, omaggio all’inquietudine, ultima sfida alla propria creatività. Un buio cui non servono le foto, traditrici nella loro necessità di chiaro. 

Nella Prioria (così chiamava il suo mondo schermato) occorre entrarci. Respirarne i legni cupi, i tappeti, i mille oggetti, gli arazzi, che chiudono fuori il mondo. Più che prigione, clausura, più che rifugio cripta : non è un caso che arredo e immagini, citazioni e libri, rinviino a monasteri francescani o d’Oriente, e a Dante. Inferno, purgatorio e paradiso convivono nelle stanze, si alternano tra le stanze di questa casa. 

Per questo, a volte (sempre, nel compleanno dei suoi ricordi) D’Annunzio si ritirava nella “stanza del lebbroso” : un letto a una piazza, un grande rosario e, come sempre, finestre cieche di vetrate cifrate di salmi, per il suo bisogno di essere triste, solo, indisturbato ; come chi (lui, i lebbrosi...) è toccato da Dio. 

Altra concentrazione, e bisogno di purezza, che ritroviamo nella stanza del giglio, dal decoro dipinto fino alla nicchia tra i libri, pronta a raccogliere il suo studio e la sua meditata lettura. Frequente, quanto meno : i libri, qui sono a migliaia ; stipano pareti e corridoi. Sontuosi e d’arte, nell’elegante Stanza del Mappamondo ; un poco rannicchiati nella Zambracca, la sua stanza più frequentata e preferita, su una parete il guardaroba, più in là i medicinali, e un tavolo quadrato sul quale consumare un frugale pasto.

 Ancora libri : accatastati nei corridoi ; agili nelle librerie girevoli della splendida Veranda dell’Apollino ; austeri nello Scrittoio del Monco, dove corrispondeva fino alla stanchezza (e al fingersi, appunto monco) alle mille lettere ; incombenti, nella Stanza del Mascheraio, destinata a far attendere ospiti sgraditi ; solari (finalmente, sì !), nell’Officina, dove il poeta scriveva, tra legni più chiari e finestre esistenti. 

Per entrarvi occorre abbassare il capo (all’arte), ma colpisce di più il capo velato di Eleonora Duse, che D’Annunzio voleva alle spalle, e per la quale resta l’ultima dedica, accanto agli occhiali, sul foglio. Presenza che aleggia anche altrove, nella casa ; fosse anche solo nell’eco degli oggetti uguali a quelli che lei gli aveva donato (un gruppo bronzeo di Kelety), addensati, come in ogni altrove, nella Stanza della Leda, la camera da letto densa di cineserie e vasi del poeta. I cuscini sono tanti e morbidi, come nomi femminili. Tanti quanti sono gli oggetti che materializzano ogni ricordo, nella stanza delle reliquie. Molti sono disposti su di un vero altare ; così come un vero coro monastico, in legno, arreda l’oratorio del Dalmata, sala d’attesa, questa volta, per gli intimi. Attesa festosa, chissà ?, per quella Sala della Cheli, destinata al pranzo, che per una volta è l’omaggio e il trionfo del colore :rosso, oro, azzurro (come tutto blu, invece, è il bagno) ; una libera scelta dell’architetto, per questa ala nuova, lo Schifamondo, della residenza.

 Eppure, anche qui, un ammonimento : la tartaruga imbalsamata, da cui la stanza prende nome, morta di indigestione in questo grande giardino, adorna il grande tavolo. Di nuovo un cenno di penombra, all’allegria conviviale di chi preferiva il motto “cinque le dita, cinque le peccata” : libera riduzione, sottraendo avarizia e lussuria, ai sette vizi capitali.

E di chi adorava la musica : sarà forse per questo che proprio questa Stanza (della Musica) ci è sembrata la più suggestiva. Il piacere dei cuscini e degli arazzi, i mille oggetti d’arte, i tappeti, le colonne...Per affogare nei suoni ad occhi chiusi. O aperti : il cenno breve di poche lampade, garantisce (di nuovo) il buio, anche a chi, come D’Annunzio, aveva amato la luce.

Improvvisa è la voglia di uscire. Piazzetta Dalmata e il Vittoriale riaffiorano luminosi. Il mausoleo, dov’è la salma di D’Annunzio, è bianco. Alla sommità del colle è ordinato e rotondo. E nel clima dolce del lago, ha quasi sempre il sole.

 

                                          Rita Guidi

martedì 9 novembre 2021

KAISERSLAUTERN - VIAGGIO NELLA CITTA' DI BARBAROSSA di Rita Guidi

 



La sua storia è racchiusa, intera, in una fontana. Ma non per questo è breve. Anzi : Kaiserslautern origina da tempi lontani quanto e più di una leggenda. Quella che condusse alla tavola del Principe Elettore Filippo, ad Heidelberg nel 1497, un enorme pesce (si dice di oltre sei metri...) che conservava a mo’ di collare una sorprendente dicitura : “Tra tutti i pesci di questo lago di Kaiserslautern - vi si leggeva - io sono stato il primo ad esservi gettato, direttamente dalle mani dell’Imperatore Federico II, il 5 ottobre dell’anno di grazia 1230.”

E’ per questo che ancora oggi, il simbolo di questa splendida cittadina del Palatinato, è un grosso pesce azzurro in campo bianco ; scelta intatta dal momento in cui fu decisa, dopo la guerra dei Trent’anni.

E la fontana ? la fontana è nuova : realizzata nel 1987 da Gernot Rumpf, e posta al culmine del corso principale, presso la “Mainzer Tor”, la porta alta della città. Un’idea da non perdere, in bronzo e acqua, che racconta in chiave buffa, del pesce, dei secoli e dell’oggi di questo luogo.

Il cappello di Napoleone qua, il simbolo dell’Università là, due figure in costume rinascimentale su cui...infilare la testa per la foto di rito, una macchina da cucire (ebbene sì) Pfaff, e un blocco-motore della Opel...Un mix impossibile eppure gradevolissimo, insomma, dominato al centro dal trono e dalla figura di Barbarossa. Altro simbolo di questa che comunemente è definita proprio così, la città di Barbarossa.

Non che del celeberrimo Federico resti granché...Però quella traccia di castello attorno cui si raccoglie il cuore “politico” di Kaiserslautern, è ancora “sentita” e viva.  Poche sale di pietra, sono le rovine abitate di quel leggendario e si dice splendido palazzo imperiale, voluto nel 1152 ; oltre ai sotterranei : la prigione, la ghiacciaia, e il labirinto di cunicoli dalle pareti rosse come la barba del loro antico proprietario, che se approfittate della gentilezza dell’odierno Borgomastro, vi sarà dato di visitare. Una delle uscite, vi riporta all’attuale Rathaus, la City Hall, e cioè gli ottantaquattro metri di grattacielo “amministrativo”, in un’altra piazza non lontana ; per condire  di nuovo con una spruzzata di attuale questa città tradizionalmente moderna e storica.

Situata, come detto, nel cuore del Palatinato, regione tedesca a sua volta cuore dell’Europa, Kaiserslautern ha creato da subito, sull’onda della strategica posizione, una rete vivacissima di scambi ; epicentro produttivo anche, però, di quella industria meccanica (ricordate la fontana ?) che oggi si spinge fino alla tecnologia più d’avanguardia.

Non è a quella, comunque, che guardano i turisti che circolano in questi dintorni ; attratti semmai dal verde tenero (o tutt’al più, dal desiderio di una qualche porcellana del locale “distaccamento” della Richard-Ginori) di questa dolce Germania. Una foresta tutt’altro che nera, e che si tinge d’oro in autunno (stagione tra le più godibili da queste parti), si apre a passeggiate per amanti della moountain-bike, e invita al sorriso i gentilissimi abitanti della città di Barbarossa.

Perché lo Pfalz (così questa regione) è vociante e allegro. Fatto di negozi che invadono la strada di colori e bancarelle, come in Marktstrasse, la via che dovrà preferire chi ama lo shopping. Un lungo viale lastricato di negozi, che vi consigliamo di punteggiare sbocconcellando il “bretzel”, la tonda ciambella salata che è tipica di qui, quanto la più impegnativa “zwiebelkuchen”, una torta di cipolle da gustare calda in una delle belle pasticcerie del centro. Caffè, birrerie e ristorantini tutti legno e candele, del resto, davvero non mancano. I più gettonati sono in “Martinsplatz” o ad un passo da lì, dove attorno ai tavolini si raccolgono abitanti e visitatori. In Steinstrasse, infatti, che dalla piazzetta risale il centro, trovate un altro riassunto di Kaiserslautern : la monumentale chiesa di St.Martin, dalla solennità medievale e già monastero francescano ; il “Theodor Zink museum”, dalla più che caratteristica facciata bianca, ricamata di legno e di fiori, che raccoglie stanza dopo stanza, le tracce del proprio passato biedermeier, o di quello napoleonico. In cortile le carrozze antiche, di fronte l’antica stazione di posta...Cosa manca ? La birra ? Certo che no. La elargiscono ovunque, freschissima e abbondante (vita dura se preferite l’acqua minerale, servita, carissima e poca, in bottigliette da 25 centilitri...) a dissetare piatti saporiti di patate e salsicce.

Ma anche i tradizionalisti possono stare tranquilli : l’osteria più antica di qui è gestita da italiani, e il menu prevede anche l’italianissima pizza Celentano...

Rara traccia esotica in un’atmosfera  caratteristica quanto il nome : Kaiserslautern (la lanterna del Kaiser), mantiene davvero intatto, con attenzione e ironia, l’equilibrio tra gesti antichi e necessità moderne. Esattamente come quella fontana, in alto, alle porte del centro antico, che, tutta, la racconta.

 

                                     Rita Guidi