venerdì 18 marzo 2011

L'AMERICA ATOMICA DI ELVIS THE PELVIS di Marco Chierici


Per la seconda volta in due anni mi sono recato “in pellegrinaggio” a Graceland,
 la storica e magica tenuta di Elvis Presley. La dentro c’è tutta la sua vita, la sua storia, il vero tipico sogno americano realizzato. Per noi fans entrare in casa di Elvis Presley è un’emozione indescrivibile; osservare e fotografare tutti gli arredi, i 168 dischi d’oro, le dozzine di costumi di scena, le sue stupende auto, le motociclette, i due aerei…e soprattutto la sua tomba. Sul retro della casa, adiacente alla piscina, c’è il Meditation Garden con una fiamma   perpetua e una meravigliosa scultura che rappresenta Gesù con inciso il nome della famiglia Presley. Nel giardino, sempre fiorito e curatissimo, vi riposano insieme ad Elvis i genitori Vernon e Gladys e l’amata nonna Minnie. Elvis ci lasciò il 16 agosto 1977 e a oltre 30 anni di distanza si può ancora vedere ogni giorno ad ogni ora una fila di fans in fila alla biglietteria. Ogni venti persone parte un piccolo pulmino che attraversa l’Elvis Presley Boulevard ed entra dai famosi cancelli della musica. Un muro di cinta in sassi protegge la proprietà ed è così pieno di scritte che nemmeno più un centimetro quadrato consentirebbe di scrivere il proprio nome.
Elvis è ancora oggi l’artista che ha venduto più dischi nella storia; ha da tempo superato il miliardo di copie. Dal 1969 al 1977 si esibì in 1094 concerti con spettacoli sempre sold out e il pubblico in delirio. Fu protagonista anche di 33 film e di qualche special televisivo, il più celebre fu il Come Back Special del 68.
Sono stato nel Tennessee insieme a due miei carissimi amici: Joe Ontario, che è il miglior interprete europeo della musica di Presley, e Ivano Melcangi che è il suo eccellente batterista, nonché un simpaticissimo ragazzo di Milano. Noi lo chiamiamo Ronnie come Ronnie Tutt il batterista di Elvis. Joe, che potete vedere e ascoltare suwww.joeontario.it, ha inciso un singolo niente meno che alla SUN RECORD, la sala di registrazione dove Elvis “esplose” nel 1954 con il suo "That’s all right mama". Poi, durante una visita alla città di Nashville, abbiamo convinto Joe a cantare due pezzi in un locale del centro dove una band si stava esibendo. Quando lui ha preso il microfono e la gente ha compreso le sue qualità canore, il pubblico ha iniziato a fotografarlo e a filmarlo con i telefonini.
E’ stato bellissimo “vivere” il Tennessee e anche il Mississipi dove siamo andati per visitare la casa natale di Elvis, a Tupelo, circa un’ora di auto da Memphis. Di famiglia poverissima, Elvis visse da bambino in una baracca di legno di due stanze senza bagno; frequentò la chiesetta di Tupelo dove iniziò a cantare i gospel, fino a quando a 19 anni divenne un fenomeno planetario. Acquistò subito una casa per sé e per i genitori in un graziosissimo quartiere residenziale immerso nel verde (abbiamo scattato molte foto davanti all’abitazione), ma dovette andarsene dopo un anno perché migliaia di fans non lo lasciavano vivere in pace. Fu in quell’anno che acquistò Graceland, una delle case più belle che io abbia 
mai visto, circondata da alberi secolari e da un ranch con cavalli di razza.
Una sera, vicino alla mezzanotte, siamo tornati davanti alla casa di Elvis, è stata la più bella delle nostre emozioni, tutto il parco era illuminato da decine di luci colorate; un custode è uscito dal posto di guardia e ha parlato con noi almeno mezz’ora rivelandoci aneddoti e storie private del nostro idolo. Rivolgendosi a me, il guardiano ha chiesto da dove venivamo. “Dall’Italia? E che ci fate qui a mezzanotte dall’Italia?!” Ed io: “Noi amiamo Elvis”. E lui: “ Tutti amiamo Elvis”. Non siamo riusciti a corromperlo, era un vero professionista, avremmo pagato qualsiasi cifra per entrare di notte in casa di Elvis e pregare sulla sua tomba. Elvis Presley fu anche uno dei più caritatevoli uomini del secolo scorso, donò milioni di dollari in beneficenza e ancora oggi esiste una Fondazione a suo nome. Elvis is deathless, è immortale; tutti noi lo sentiamo come un amico fraterno e gli vogliamo un mondo di bene.
Non so se un giorno ci torneremo per la terza volta…non si sa mai.

giovedì 3 marzo 2011

LA ROSSA SABBIA DI OMAHA BEACH - di Rita Guidi


Conoscete il Paese dove i prati fioriscono sul mare ? E dove il rigore del vento anche d’estate non intacca la dolcezza delle case bianche a graticcio, i giardini da bambola, il calore - all’interno - delle marmellate e del legno ?
Questa è la Normandia. Il confine più bello. Orlo di Francia ritagliato sulla Manica. Luogo di scogliere e di spiagge di sabbia come di castelli e di cattedrali, di mondanità e di storia. Perché c’è la bellezza più magica e rude della costiera alta, quella che invita all’estasi gotica di Rouen, appena all’interno ; e al mare inquieto che si ritrae o si abbandona ma davvero all’infinito, giocando con i faraglioni e le “falaises” : rocce inarcate sull’acqua. E allora non rinunciate a Etretat, se vi trovate da queste parti. E non rinunciate alle “chambre d’hotes”, e a quelle di Madame Ginette Lebreton o di Madame Huguette Maillard, se proprio volete andare sul sicuro ; e cioè a quella sorta di bad&breakfast in versione normanna, che vi regala (in camera doppia il costo medio è di duecento franchi) un soggiorno tra i legni, le trine, le porcellane, il latte e le marmellate, di queste abitazioni con i balconi fioriti e il tetto spiovente.
Meglio qui che nella costiera bassa, onestamente. Comunque splendida, ma più turistico-mondana : le ville, i casinò, Deauville (serve parlarne ?), o Cabourg dove anche Proust amava soggiornare.
Anche questa è Normandia, certo. Ma poi ce n’è anche un’altra, che tutto questo vi fa dimenticare. E’ annunciata dal rigore asciutto di qualche cartello, non più grande di quelli stradali e consueti che incrociate ai semafori, tra i fiori e la folla : “Overlord les assault”, dicono. Fondo bianco e una freccia, la direzione è di nuovo la spiaggia. Le spiagge, anzi, che però sono altre. Nulla a che vedere col sole (anche se c’è lo stesso), gli ombrelloni o i giochi delle maree. Sono quelle dello sbarco. Chilometri di storia, in sostanza. Svelati da quel percorso attento e rispettoso. Silenzioso. Basta seguire la freccia. Il drammatico sbarco dell'operazione Overlord.  
6 giugno - 21 agosto 1944, quei cruciali giorni rivivono qui, e con una forza che va ben al di là della presenza a tappe di monumenti, carri armati, bandiere, lapidi. Più frequenti appena oltre il mitico ponte qual’è il Pegasus Bridge. Un pellegrinaggio solo un poco più spettacolare ad Arromanche, dove c’è anche un museo e un grande cinema circolare : si proietta a ciclo continuo un documentario di quei giorni. Quasi un film. Quasi come Spielberg, la cui drammatica pellicola da emozioni vietate ai quattordici, va collocata però un poco più avanti, seguendo la freccia, verso est. A Omaha Beach. Dove la sabbia, curiosamente, ha riflessi di rosso, che se fosse altrove sarebbe un colore così bello. E’ questo il luogo silenzioso dove ogni sentire commuove. E’ come ascoltare la storia, la guerra, la morte ; un dolore che si è fatto libertà. Non per il monumento austero e semplice, che raccoglie uno per uno i nomi dei battaglioni americani, uno dopo l’altro qui caduti : di 34.500 uomini, solo 100 arrivarono a destinazione (e alla vita). E nemmeno per quello scoglio, così terribilmente evidente, delle feritoie nemiche, in alto sul colle della  spiaggia ; davvero inespugnabili. L’emozione pura è semplicemente nell’aria. E’ questo verde, altare rigoglioso e vitale, che come in tutta la Normandia ricade fino alla sabbia. Alle spalle, tra le siepi, l’eco ordinata delle croci bianche del cimitero americano, appena visibili, al riparo dagli occhi. E intorno al sentiero che scende verso la sabbia ancora rossa, le rose canine, bellissime da pungere gli occhi. Profumano forte, nel loro rigoglio intoccabile e spinoso come questi luoghi.
Qualcuno arriva fin qui col camper, o ci parcheggia la roulotte. Ma nessuno nemmeno d’estate pensa agli ombrelloni. Quelli appartengono a spiagge vicine, ma è tutta un’altra storia.