mercoledì 14 dicembre 2016

C'E' MILANO SOTTO L'ALBERO - di Stefania Zanardi


Andar per negozi, boutiques, vie, viuzze e piazze per Natale…. A Milano...
Niente di nuovo sotto il sole! Direte voi, anzi, anche un po’ scontato…
Eppure, Natale dopo Natale, qualcosa di nuovo, di ammiccante o intrigante può sempre apparire, basta girare l’angolo.
Giungendo in treno (da una città di provincia - tipo Parma-) lasciandoci la stazione alle spalle, si possono imboccare più direzioni; noi scegliamo quella che costeggia il Palazzo della Regione, imponente costruzione, iper-moderna che ospita internamente, nella piazzetta sottostante, la pista di pattinaggio (predisposta per le feste e, molto affollata, giurano i milanesi). Proseguendo con curiosità, cominciamo ad ammirare , col naso all’insù, i giardini verticali, edifici unici e milanesissimi che si stagliano verso il cielo confondendo le fattezze dei palazzi con il verdeggiare di piante rigogliose che scendono con stile verso il basso, come una cascata di vegetazione. Senza dubbio, un fiore all’occhiello per questa città cosmopolita che sa regalare a tutti i suoi visitatori qualcosa di unico, sempre.
Ed ecco lo stiloso Corso Como , da qualche anno rinnovato, rivisitato e offerto ai passanti in un alternarsi di negozi, boutique “à la page”, luoghi di incontro,un percorso elegante, attuale, per ragazzi, famiglie, ma pure modelle, fashion people , turisti . Qui regna movimento, luci e tanta moda in un’atmosfera avvolgente (non fosse altro perché è
ormai Natale) dove puoi soffermarti a curiosare tra le varie bancarelle, rigorosamente stile “baita” in legno che propongono oggetti variegati, anche a prezzi accessibili.
Il percorso ci avvicina a piazza Gae Aulenti, chic, molto amata dai giovani (pure i teen agers), da chi ama vivere le serate e le nottate (e il freddo non li ferma ), tra drink, happy hour e puro divertimento, per raggiungere la (mitica) San Babila , snob (un tempo?), sempre gettonata,con la sua fontana, la Chiesa dedicata al Santo in questione che recupera quell’aspetto spirituale quasi a contrastare lo sfoggio e l’ esteriorità.
Ma ecco,giunti a Brera, si apre uno squarcio diverso, la sua Accademia che ha dato fasto agli artisti più differenti, vie più strette, un’intimità che quasi imbarazza e, per un attimo il pensiero va ad una “petite Paris”, un po’ retro’ e bohemienne, che luci ed addobbi natalizi evidenziano ulteriormente.
Ma Milano non può dimenticare la “Madonnina”, il Duomo con la sua immensa piazza, l’albero Natalizio, vestito a festa che fa pendant con l’abete scintillante di pietre di Swarowski posto in Galleria, luogo di incontro per famiglie, amici e… coppie. Non sbagliava Ornella Vanoni cantando “ ...sapessi come è strano sentirsi innamorati a Milano… in Piazza o in Galleria, che follia...”. 

sabato 5 novembre 2016

UN SORSO D'ORIENTE - Skira, Inoue e un maestro del Tè di Rita Guidi

Colore, forma, movimento: è così che un banale oggetto, tra le mani di un Maestro, può diventare tutto. Desiderio ultimo e aspirazione assoluta a un ideale di perfezione. Qualcosa da preparare, accudire, condividere e sorseggiare, come la vita, in modo sapiente, unico e dolce. E’ (anche) tutto questo la cerimonia del Tè. Ritualità suggestiva e intensa, consacrata a luoghi per noi lontani nel tempo e nello spazio. A restituircene oggi il prezioso significato è l’altrettanto preziosa pubblicazione, la prima in italiano grazie all’eccellente traduzione di Gianluca Coci, di questo “Morte di un maestro del Tè” (Skira, 182 pagg., 16 euro) di Yasushi Inoue. Un classico della letteratura giapponese del Novecento, che affonda le proprie radici nella storia e nelle tradizione del Sol Levante, offrendoci pagine dense di mistero e spiritualità. Anche se la narrazione scorre come una cronaca, un diario per la precisione, e anche se – nella finzione romantica del ritrovamento di un manoscritto – Inoue richiama le guerre e i giorni del Giappone del

Cinque/Seicento. Attraverso la voce narrante di Honkakubo, leggiamo abitudini e vicende di un mondo diviso tra lotte per il potere e ricerche introspettive, la stessa ammirazione per samurai e guerrieri o Maestri del Tè. Figure eroiche e grandiose, come quella di Sen No Rikyu, segnata però da una fine enigmatica: la condanna a un suicidio rituale al quale non oppose alcuna resistenza o richiesta di grazia. Perché? E perché una tale sentenza da parte del potente Hideyoshi, da sempre suo protettore ed amico? Tra ricordi e incontri, il fedele discepolo Honkakubo tenta di ricostruire l’accaduto, di comprendere i motivi di una morte. E per farlo attraversa quella vita, e la descrive. Offrendoci nel gioco continuo di apparenza e sostanza, la chiave di lettura e il significato – tra saggezza e bellezza - di un’esistenza. E’ così che i sogni non sono più solo sogni, e anche la vita e la morte possono confondersi. A guardare con attenzione, c’è sempre qualcosa che va oltre l’eterna immobilità delle cose. Di un cucchiaio di bambù, o di una
semplice tazza. Nera. O invece rossa. Grande e solida o più piccola ed elegante. Contenitore contenuto nelle mani che la porgono. Gesto. Bellezza e mistero. Colore, forma, movimento, perfezione. C’è l’universo, in una tazza di Tè.

domenica 30 ottobre 2016

SE IL 2 NOVEMBRE CELEBRA LA VITA - VIAGGIO NELLA 'VILLETTA' DI PARMA di Rita Guidi

Risultati immagini per villetta di parma Lo snack bar li' di fronte ha gli stessi inutili colori della vitaMa anche il solo grande cancello e' umile parte del brano di spazio che racchiude.   Ritmo umano, laddove invece e' l'Universo Illogico che accomuna padri e figli, secoli e giorniE in certi casi e' brutto chiamarli cimiteri. Per il loro raccogliere le dimore ultime, occorrerebbe un nome che evocasse l'eterno, la vita piuttosto, il mistero.  La nostra 'Villetta' risolve un poco questo desiderio. Diminutivo piu' vicino alla dolcezza del sonno che al lugubre turgore della morte. Ecco, l'abbiamo detto. Il suono che allontana la vita e la gente. Religioso mistero e germe di poeti.  Anelato riposo per Leopardi o camuffato da notte per Novalis...'In disparte mi volgo / verso la sacra, l'ineffabile / la misteriosa notte...'In disparte.  Come amerebbe il Foscolo, per sospendersi un poco sulle urne dei forti Perche' ce ne sono tante anche qui. Anche se basta gia' la piccola Spoon River delle incisioni piu' antiche (se qui ha un senso l'antico), come gesso dolente sulla lavagna. Sono nere e tante, come le foto e i dagherrotipi e i fiori, nei corridoi appena interni del porticato che misura lo spazio centrale dell''ottagono'Una forma esatta voluta dal Cocconcelli, prima ;  quando i convittori del Collegio dei Nobili gridavano qui accanto le loro domeniche. Alla Villetta (ancor oggi esistente),  e non nella piu' grande villa di campagna, meta invece delle villeggiature estive. L'inizio Ottocento (per l'esattezza il 1817 sotto Maria Luigia ) pretese fuori dall'area urbana le sepolture, e dunque i cimiteri. Di nuovo l'eco sgradevole di una parola, quando e' soltanto l'immobilita' dell'aria a rendere un poco piu' astratti gli affreschi e i bronzi.  Sotto un cielo di stelle dall'azzurro quasi intatto, e' infatti la lapide di Macedonio Melloni ('morto a Portici partenopeo l'11 agosto 1854, giorno che fece mesta l'Europa' ), solo un paio di archi piu' in la', dopo quello dei docenti e rettori chiarissimi dell'Universita' di Parma, tra cui Pietro Pigorini e Alfonso Cavagnari, e la genuflessione corrosa di Padre Lino Maupas. Il francescano di
Spalato cui nessun giorno e' privo di fiori.Il porticato prosegue al riparo della nobilta': i conti Cantelli e i Sanvitale, e gli Zileri, e i marchesi Malaspina. Marmo chiaro. Cupo e verde, invece, per la cappella alla memoria di Vittorio Bottego (ovviamente perche' disperso ), se solo vi addentrate un poco nello stradello trasversale.   E' invece a Nord, in galleria perimetrale, in un bel monumento, il rosso ricordo dei cadutiNelle cappelline interne il dolore ha spesso pastelli liberty, e una misteriosa e rotonda balconata al centro, e' sospesa sul nulla : solo cenni di silenziosi lumini sotterraneiRobusto il piglio dei quattro monumenti alle pareti di questa crociera, tra cui il chirurgo e docente Comm. Giovanni InzaniDi nuovo i conti Pallavicino o la pompa neoclassica dei Bulloni-Serra, tornando sotto l'infinito porticato. Ma distrae la cappella gotica e affogata nell'edera, dei Medioli, al centro del campo, passando per il marmo sobrio di quella Ceresini. E' poco oltre una fioritura sempre rinnovata, per Dina, Emanuela e Carlo Alberto Dalla Chiesa, il generale con le due mogli. Anche oggi una piastrella di ceramica raccoglie una dedica di conchiglie : 'A mon general'. Un bel restauro in prospettiva invita al ritorno in corridoio : e' l'affresco trompe l'oeil che circonda la lapide dei monaci di San Giovanni.  Poco oltre i vescovi, Colli, Pasini, e di nuovo l'Universita', questa volta con un'anfora a ricordo di Strobel.        Parmigianita' anche sul suolo del piccolo cimitero evangelico, accanto a quello israelitico. C'e' il burattinaio Giordano Ferrari, il papa' di Bargnocla, come recita la dedica sulla scultura che ritrae il suo piu' celebre personaggio. Poi l'occhio vi riportera' al centro, verso la cosiddetta cappella dell'aviatore, coi bei decori e le porte in bronzo massiccio del Trombara. E ancora, costeggiando il monumento a Paolo Toschi affiancato dalla lapide del Bettoli, non vi sfuggira' il verde monumentale, il bronzo del 'tramonto'  che raccoglie Cleofonte Campanini, 'vivificatore di poemi musicali ' morto a Chicago nel 1919. Ma soprattutto il tempietto di Paganini, che anche qui riesce ad essere irripetibile.

Imbalsamato, nel piccolo sarcofago adombrato da un bel gioco di colonne, dicono che conserva davvero un che di inquietante nell'aspettoE' il motivo per cui  non lo vollero a Genova. Nei vasi i gesti frequenti dei visitatori o persino delle gite scolastiche, come accade per Pietro Giordani. Non  abbiamo detto di Angelo Mazza o Ildebrando Pizzetti (sotto un enorme cipresso), Migliavacca, Ulivi, Cavestro, come di Pietro Barilla (una sobria cappella ingentilita solo da un elegante mosaico) o di Paola Borbone, nella parte nuova, pero'Potevamo non dimenticare qualcuno ? O c'e' forse qualcuno che si puo' dimenticare ? E' solo che la luce gia' rosa preannuncia il buio, la notte e il lento chiudersi dei cancelli. Questione di giorno e di tempo, dunque.   Come disse Petronio: 'Ego sic semper et ubique vixi, ut ultimam quamque lucem tamquam non redituram consumerem.' (Cosi' ho vissuto sempre / E dappertutto : stringendomi / Alla luce del giorno che passava / Pensando e' l'ultima non tornera' / Non tornera' mai piu'.).

domenica 25 settembre 2016

NEL SOGNO DI ORLANDO di Rita Guidi, foto di Niccolo' Zanichelli


Non troverete il clangore delle spade, 
o la devastante follia di un perduto oggetto d’amore. No. 
Qui vivrete quello che c’è prima: il desiderio e l’eroismo, l’orizzonte di bellezza del quale si nutrono la fantasia e i sogni. 
Ecco l’Orlando Furioso, ma dalla parte dell’inchiostro, nei colori di chi l’ha creato, camminando sulla spalle di giganti. Magnificenza ed estasi di un’arte votata alla perfezione.
A 500 anni dalla prima edizione del più celebre poema di Ludovico Ariosto, Ferrara celebra il mondo dell’autore con una mostra di rara suggestione e ricchezza. In quel Palazzo dei Diamanti, che vale già da solo la visita alla città, va in scena lo splendore senza pari del Rinascimento. 
L’omaggio a un mondo immaginifico e perduto. “Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi” è del resto il titolo dell’evento –  fino all’8 gennaio 2017 , curato da Guido Beltramini e Adolfo Tura – destinato a lasciare un segno nei visitatori. 
Innanzitutto per la quantità dei capolavori celeberrimi, qui riuniti ed esposti come nella più golosa della occasioni: c’è il ritratto di Inghirami di Raffaello e la Venere pudica del Botticelli, San Giorgio e il drago di Paolo Uccello e la Leda di Michelangelo, una matita rossa di Leonardo (unica scena di battaglia ritratta dal genio) e la bellezza altera e fascinosa del Gattamelata di Giorgione, il guerriero dolce, paradigma intonso di paladino per il  Rinascimento.
Potrebbe bastare? Certo, ma davvero non basta, perché ci sono i manoscritti (dello stesso Ariosto, di Machiavelli..), ed un gioco prezioso di incunaboli e opere utili a raccontare i piaceri di una corte pronta al divertimento e all’ascolto, alla divinazione e al teatro.
E ancora (ancora) gli oggetti preziosi. 
Elmi e corazze, spade e finimenti: sullo sfondo di un allestimento che assegna ad eleganti infografiche lungo la penombra delle pareti un ulteriore racconto.  Bianco su grigio. Luce su ombra. Fantasia su realtà. Le parole intagliate nel cielo della storia. Come il “corno d’Orlando” : sciabolata di luce d’avorio ad aprire queste stanze. Si racconta sia questo l’olifante che Orlando fece risuonare tra i Pirenei al tempo di Roncisvalle. Un suono che culmina nell’arazzo – una immensa scena della celebre battaglia - pochi passi più in là.
Ma è qualcosa che viene dopo. Qui, ancora, c’è il meraviglioso silenzio del sogno. Eroismo e bellezza. Desiderio realizzato e perduto di un mondo votato alla perfezione e alla bellezza.




giovedì 15 settembre 2016

COMPIANO: COSI' VICINO, COSI' LONTANO testo e foto di Stefania Zanardi


Sembra non arrivare mai: superata Borgotaro , 
tra salite, curve, svolte e rampe, la meta scelta un po’ all’ultimo momento, guidata dal cuore e dalla curiosità, è realmente sul cucuzzolo della montagna…
Compiano, un Comune che conta poco più di mille abitanti ed inserito dei Borghi più belli d’Italia, si apre al turista con grazia e discrezione- sia se vi si accede dal “portone “  posto più in basso che da quello alto, a pochi metri dal parcheggio e dal cimitero. Prima ancora di iniziare il percorso per entrare tra le mura del villaggio, un cartello mette in guardia sul divieto alle auto e mezzi a motore, in modo , oserei dire , lapidario.
Cito “ il paese è piccolo, l’auto inquina, se vuoi visitarlo scendi cammina.”
Si può solo confermare: posto a 510 metri sul livello del mare, circondato da mura , costruito su e giù per viuzze, vicoli, saliscendi, anfratti che mozzano il fiato, muri tappezzati di fiori, case, qualche  Bed and breakfast …fino al culmine ultimo del Castello. La presenza anche solo di un semplice Ciao, rappresenterebbe uno sfregio…
Il castello, o altrimenti Rocca, oltre ad offrire un percorso guidato al turista è oggi anche un Hotel relais da fare invidia per ubicazione, panorama e ricchezza storica ai vari castelli sparsi qua e là nel nostro paese.
Già nell’XI secolo  il Borgo è fortificato e la Rocca lega tra loro le varie vicende del paese; in quel periodo sono i Malaspina i proprietari  mentre, dal XII secolo entra in gioco il Comune di Piacenza che viene però spodestato – nel XIII secolo- dal casato di Umbertino Landi che lo gestirà per ben 425 anni fregiandosi del record del casato più longevo di tutt’Italia. Purtroppo dal XVIII secolo, col dominio dei Farnese e poco dopo con la Duchessa Maria Luigia, il Castello inizierà un lento declino che lo trasformerà in prigione di stato (moti del 1821). Sarà solo il 25 giugno 1944 che diverrà capitale del territorio libero della Valtaro.
Camminando attraverso il borgo, l’aria rarefatta, rende più impegnativo il percorso che- per quanto breve- richiede gambe allenate che trovano ristoro sul terrazzo del castello dove ad attenderci c’è una panchina ma, soprattutto, una vallata che apre il cuore, tra colori, luce tersa e limpida e boschi.

La strada per il ritorno è leggera per le gambe ma malinconica per la mente  in quanto lasciare questo angolo di pace, arte, storia e natura mette un po’ di amaro in bocca. Respiriamo l’ultima boccata di aria pura e… si sale in auto. Bye, bye …

venerdì 9 settembre 2016

Il BOOM E' POP - di Rita Guidi


E’ il più colorato dei mondi in bianco e nero.

L’Italia del boom è allegramente pop, odora di fòrmica, viaggia in Cinquecento...
E per riviverne quell’essenza che solo l’arte sa cogliere e rappresentare (fosse solo nello spazio di un quadro), ecco l’occasione da non perdere, il viaggio nel tempo al quale non rinunciare.
Dal 10 settembre all’11 dicembre 2016 la Fondazione Magnani Rocca ospita ITALIA POP. L’ARTE NEGLI ANNI DEL BOOM.

Visualizzazione di 20160909_163330.jpg Una raccolta di settanta opere per raccontare la via italiana alla pop-art: un percorso sofisticato, dall’inconfondibile brio nostrano, giusto per sottrarre quanto basta i riflettori dal consueto ‘sogno americano’.

In bianco e nero o meravigliosamente fluo, le opere vibrano nei saloni impero della Fondazione in un piacevole sussulto.
C’è il rosso ‘No’ di Schifano e il collage di brand celeberrimi di Fomez o “la Gioconda” di Mimmo Rotella…Struzzi, giraffe e alberi di Gino Marotta (alieni del passato tra le cornici barocche…)…Qualcosa che affascina, qualcosa che turba. Un senso ingenuità e di allegria… Un’arte di confine (un ’68 da attraversare), qualcosa che sa di speranza fino alla sconfitta di nuove disillusioni.
L’Italia in Cinquecento.

Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Walter Guadagnini e Stefano Roffi, saggi in catalogo di Antonio Carnevale, Mauro Carrera, Walter Guadagnini, Gaspare Luigi Marcone, Stefano Roffi, Alberto Zanchetta




domenica 21 agosto 2016

VIAGGIO A VENEZIA - testo di Rita Guidi, foto di Niccolo' Zanichelli



La Serenissima è inquieta.

Ai giorni torbidi  d’agosto, si offre insofferente e docile, nel suo splendore maestoso. Tra mandrie di turisti disordinati e cenni d’allarme (o tempora o mores, certo, ma anche l’eterna condanna alla maleducazione e alla stupidità), Venezia ha eletto a Doge la Pazienza. Ed è così che sorregge chi la ama davvero: con un invito più attento ad ampliare lo sguardo. Perché se il climax è Piazza S.Marco, occorre allontanarsene e centellinarla, non fosse altro che per ammirarla di più. Appena oltre, del resto, appena prima, non c’è che da scegliere la direzione per trovare altra bellezza. 
Curioso: sul Canal Grande c’è da sgomitare, mentre nell’immensità mistica della Basilica dei Frari non arriviamo a una dozzina… 
 Eppure è un trionfo d’arte, questa ‘quasi’ cattedrale: senza dire del gioco sontuoso degli spazi (e del sipario  magistrale del coro ligneo), ecco il Tiziano con l’Assunta e la pala Pesaro, uno straordinario trittico del Bellini, e poi il sepolcro elegantissimo e cupo dedicato al Canova e di fronte l’omaggio marmoreo e tardivo allo stesso Tiziano, morto di peste in solitudine…
A far bella Venezia basterebbe l’arte che si incontra qui, e invece è un tripudio di scorci, di Chiese (che dire del moderno bagliore del Gugghenheim, o della rotonda emozione della Salute…o del piacere suggestivo di un cicchetto a Cannaregio... o di un hotel di charme tra bellezza e silenzio …), di calli furtivi, sottratti alla superficialità della folla. Che si riversa continua negli stessi luoghi, come da antichi ‘vomitoria’. 
Lo spettacolo è qui, certo. Ma è come entrare alla scena finale, per chi arriva e riparte in autostrada. 
Se qualcuno avrà scelto il piacere antico della lentezza, il sipario si sarà aperto sul preludio impareggiabile delle Ville palladiane. 

appena oltre Vicenza
densa di echi letterari 
(la valle del silenzio di Fogazzaro) 
e di leggende,
interamente affrescata dal Tiepolo… 

E ad un passo, LaRotonda, del Palladio: per comprendere cosa sia la perfezione, l’equilibrio formale ed etico, la divina semplicità della bellezza.
O, appena fuori la laguna, adagiata sulle dolci rive del Brenta, la Malcontenta (di nuovo solo noi, e tre cicloturisti tedeschi…) abbracciata dal parco morbido e secolare.


 E ancora la maestosità solenne e preziosa di Villa Pisani: dimora immensa che gioca a specchiarsi nella superba bellezza delle scuderie, in prospettiva esatta, oltre l’acqua, il verde e il parco senza fine.
Un labirinto, una ghiacciaia, una serra, un aranceto, un tempietto… e il gioco dei fauni che affiorano nel verde, parlano di un mondo dove l’arte si confonde con i giorni e con la vita (D’Annunzio, non a caso…). Di saloni che culminano nell’immensa sala affrescata dal Tiepolo, ancora vibrante dell’eco di balli, di riflessi dorati…
Del resto Re e Zar, Dogi e Imperatori (il letto di Napoleone, lo studio di Eugenio di Beauharnais, vicerè d'Italia), hanno attraversato e vissuti questi luoghi.  
Oggi siamo in tre (anzi no in sei: una famigliola spagnola sta passeggiando più in là), in questo che è stato eletto il Parco più bello d’Italia.

Il Brenta scorre placido, l’autostrada invece caotica: si segnalano code da e per Venezia. Anzi, per piazza S. Marco. Che ha eletto a Doge la Pazienza: del resto l’autunno, presto, arriverà.

mercoledì 10 agosto 2016

TRA CARUGGI, FOCACCIA E MUSICA...A SESTRI LEVANTE - testo e foto di Stefania Zanardi

Metti una vacanza a Sestri Levante. Tra mare (anzi mari), monti, sapore di sale, basilico e focaccia (quella di Recco, la più rinomata che sbarca quotidianamente anche qui), questa località nel cuore del Tigullio- negli ultimi anni-ha saputo rinnovarsi, cambiare la sua immagine con varie iniziative.
Innanzitutto recuperando le sue radici musicali (ad alti livelli): dal genovese rimpiantissimo Fabrizio De André, al virtuoso Bruno Lauzi solito passeggiare tra i caruggi sestresi, al poetico Ivano Fossati, last but not least al romantico Gino Paoli,   Sestri –nei mesi di luglio ed agosto- in un’atmosfera tra “retro” e “ movida”- si riempie di musicisti e cantanti animando le serate, nonché nottate…
E, sempre seguendo la scia musicale, in Agosto sbarca la “Silent disco” che riunisce centinaia di giovani che –cuffia sonora alla mano- trascorrono la serata immersi nel “mondo del suono”: tappa obbligata Baia del Silenzio, meglio nota come “mare piccolo “. Ma che è? Semplice, un arenile (un tempo isolotto) divide il mare sestrese in due; da un lato il mare grande/aperto dall’altro il mare piccolo che il favolista Anderson denominò rispettivamente “Baia delle favole “e “Baia del Silenzio”. Uno splendore, in particolare la sera quando le luci di case, locali, e lampioni illuminandosi, trasformano la realtà in un sogno.
Ed è proprio qui, affacciata sopra un ampio terrazzo sovrastante la scogliera che, da un paio d’anni, l’ex convento dell’ Annunziata  restaurata e rimessa a nuovo accoglie eventi, mostre, cerimonie e matrimoni in una cornice da favola… per l’appunto. Per chi ,invece,  ama la fotografia, sino al 16 agosto è possibile ammirare  una piacevolissima mostra realizzata da due giovani, bravi sestresi  appassionati di questa arte visiva. Dall’arte visiva a quella pittorica, come non nominare Roberto Altmann, sestrese per padre, di madre straniera, che espone alcune delle sue opere al “Grande Albergo”, un Hotel di fronte al mare.
Affacciate sul mare ci sono le terrazze che a Sestri si sprecano: da quella dei Castelli –Grand Hotel sospeso tra mare e alta scogliera, “Vis à Vis” albergo eretto lungo il percorso che conduce a Punta Manara panorama più unico che raro, all’ “Hotel Nettuno” ,nel cuore di Sestri dallo stile vagamente orientale…
Impossibile poi dimenticare il “Conchiglia” un ex cinema all’aperto , stile anfiteatro , ristrutturato e rimodernato che ospita spettacoli, concerti, balletti insomma un’esibizione continua per allietare le serate dei turisti “afecionados “ e “ di primo pelo”.
Sempre in ambito cultura caldamente consigliata la visita al Musel, un museo nel centro storico che espone le radici e l’identità di Sestri Levante con postazioni multimediali, interattive, percorsi tematici, visite guidate, laboratori.

E i bagni, le nuotate ? direte voi! Ma certo : qualche spiaggia sabbiosa, stabilimenti balneari e poi scogli, arenile sassoso, onde schiumose che si infrangono sugli scogli per gli amanti di tuffi e acque profonde !