Grazzano Visconti mantiene intatto da novant’anni il fascino
di apparire come se ne avesse novecento. A un’ora d’auto da Parma (74
chilometri), due passi all’interno della piacentina Val Nure (è un comune di
Vigolzone), apre i suoi cancelli a chi desidera tuffarsi in un borgo...
“medievale”.
Il suo cuore davvero lo è. Un documento del 18 febbraio 1395,
ricorda la posa della prima pietra di un possente castello. La firma è di Gian
Galeazzo Visconti. Casato che mantenne la proprietà fino al novembre del 1884,
cioè alla morte delle marchesa Fanny. Poi passò in eredita ai nipoti, i
Visconti di Modrone. E in particolare al conte Guido e poi a quel Giuseppe cui
venne l’idea (questa idea) di creare nel terreno circostante il maniero, una
città d’arte (così è stata riconosciuta ufficialmente Grazzano dal 1986).
Finzione reale, quindi, trancio d’architettura che rispetta rigorosamente le
regole stilistiche di un urbe antica, la ricostruzione si compie tra il 1900 e
il 1908. Autore quell’architetto Alfredo Campanini, che il committente ed amico
conte Giuseppe definì “uomo coltissimo di gusti raffinati e di idee ben
chiare”.
Il risultato, tra torri imponenti e botteghe artigiane,
fontanelle e balconi fioriti, porticati e colonnine sul selciato rustico, è
indubbiamente (e dispettosamente) suggestivo e gradevole. Ma se qualcuno
insistesse nel trovarlo un po’ “kitsch”, il conte ha pensato anche a lui :
sui muri del borgo ricorre infatti un’enigmatica scritta in caratteri gotici,
“otla. ni. adraug. e. enetapipmi”. Motto bustrofedico, va letto cioè al
contrario, che significa “Impipatene e guarda in alto”. Gli oltre 250.000
visitatori l’anno sembrano dargli ragione.
Del resto in questo neo-medioevo rivive proprio tutto.
Accanto all’autenticità della Chiesa Parrocchiale, forse esistente dal 1200,
con annesso Oratorio di Sant’Anna e chiesetta gotica, merita uno sguardo la
piazza principale. Dominata dal Palazzo dell’Istituzione (1908), tutto trifore
e loggette, con merlatura ghibellina alla sommità, fa il paio con l’Albergo del
Biscione (costruzione tra le più antiche di Grazzano : 1905) dalla
facciata ricca di stemmi e decorazioni floreali. E ancora, con la successiva
(1922) Osteria del caminetto, tutta archi ed archetti volutamente...diroccati.
Ma in tutto il borgo ogni scorcio è un salto nel tempo. Forse
perché qui non si aggira solo il fantasma di un’epoca ma anche quello di
Aloisa. Leggenda triste di un amore tradito, che si concretizza in una piccola
statua oggetto di visite e di messaggi da parte di chi vede in lei una
protettrice degli innamorati.
Un’ultima segnalazione, da scoprire tra i mille particolari
autenticamente falsi di questo paese curioso : un dipinto (uno dei tanti
che adornano gli edifici) che si trova sotto il porticato del Palazzotto
dell’Istituzione. Il motivo è semplice. Non solo è stato dipinto, come molti
altri, sempre dal nostro conte, ma lo (auto)raffigura anche. Non da solo,
certo. Accanto gli sono le figlie Ida e Anna, i nipoti, e più in alto i figli
Guido, Luigi, Edoardo e Luchino. Proprio lui, il grande maestro della
cinematografia. Figlio d’arte, verrebbe allora da dire. Quella delle
ambientazioni sembra essere evidentemente una collaudata passione di famiglia.