sabato 30 luglio 2016

A SUD, NEL SALENTO di Rita Guidi, foto di Niccolo' Zanichelli

Si fa presto a dire Salento. A immaginare spiagge dai colori tropicali, resort bianchi e distese di ulivi attraversate dai transfer dei turisti.
Qui tutto è profondo Sud: orizzonte di bellezza sempre viziato da un retroterra di fatica e povertà. Come se l’estate fosse l’unica, grande occasione.
Perché si tratta solo di saper guardare, osservare e ascoltare.
Ci sono le maldive di Puglia: dedicate a chi ama spiagge dolci di sabbia, lambite da acque verdi cristalline. Appena oltre le dune, appena oltre piccolissime strade che fioriscono di macchia e buganvillee per chi ha scelto hotel/club/villaggi. Brani di costa eleganti e morbidi. I bagni esclusivi, i gazebo ricercati, le amache sul mare…
Ma poi basta camminare un po’. E lo splendore selvaggio dei colori si apre su spiagge libere, amate dai kitsurfer e dalla gente di qui. Un ombrellone sottobraccio e un pranzo al sacco: è il loro mare, raggiunto con la vecchia auto di papà, attraversato dai venditori ambulanti, vissuto solo un attimo, per ricordarlo, prima di tornare a quel lavoro d’estate (cameriere? autista? domestica?)che è la sola possibile occasione.
Ci si abbronza così, chiedendosi che ne sarà di quel paesino bianco/messicano al cader delle foglie d’autunno: un ristorantino sul mare, una gelateria, un negozio a scaffali (come un vecchio magazzino), bimbi che giocano in strada, nei sandali la sabbia del mare che è lì, a riflettere la luna, a poco meno di un passo…
Certo, pochi chilometri (c’è una superstrada, o il fascino quieto della litoranea) ed ecco lo splendore antico e nuovo di Gallipoli. Una main-street per lo shopping e appena oltre il ponte la città antica. La città bella, come rincara giustamente il nome. Yacht e barche all’ancora, e poi su, tra viottoli e palazzi dal caldo colore della pietra leccese. Un piacere dorato per gli occhi contro il cielo turchese. Turisti e ragazzi, gabbiani impertinenti e pub deliziosi, di fronte al Duomo i souvenir… Uno spettacolo d’estate, o se preferite un’estate che dà spettacolo; ancor più dall’alto del castello che ne offre per intero un abbraccio.
All’orizzonte, lontano, i quartieri nuovi (ché qui si abita anche d’inverno), e poi di nuovo il mare e gli ulivi. Paesini e stazioni con una sola rotaia… La fatica di sempre, del vivere a Sud.
                                     

                                      

venerdì 1 luglio 2016

Floating Piers: camminare la bellezza di Rita Guidi, foto e video di Niccolo' Zanichelli

L’acqua che non si tocca, l’emozione che si abbraccia. Si stende dolce come un’utopia e un desiderio, il 'floating piers' di Christo. Ultima installazione del grande artista di origine bulgara. Disegnato nel cuore profondo del Lago d’Iseo – ghiacciaio disciolto tra le cime dei monti – questo progetto fluttuante è un capriccio d’ingegno e di fantasia. Un percorso con l’anima, inimmaginabile prima e indimenticabile dopo – come vuole lo stesso artista.
Perché dopo il verde dei monti e il turgore del lago, dopo il sudore e le code, è il tappeto morbido e caldo a sostenere un sogno. Arancione cangiante (un tassello da chiedere – per i più fortunati - ai ragazzi che punteggiano le sponde del floating) per dire di lui, Christo: il giallo della sua forza creativa ma anche il rosso, passionale e indomito, della sua amatissima Jean Claude.
Non solo estetica (benchè straordinaria) dunque, in questa scelta voluta e accurata, come tutto l’impianto (realizzato da ingegneri tedeschi come il più incredibile dei lego). Pianificato e utopico, il floating piers chiede un cammino silenzioso di bellezza, dimentico di quelle acque gelide e profonde (250 metri) che inconsapevolmente stanno là sotto. Del resto di questo parla: di unione e utopia, di libertà e bellezza. Come dev’essere l’arte, come vuole essere la sua arte, che ottiene l’impossibile, che abbatte i limiti della ragione (della politica), della banalità. Opera d’arte gratuita, partecipata, collettiva. Provocazione splendida. E personalissimo racconto: Christo fugge giovanissimo dai confini chiusi della Bulgaria. Anche la madre, con sé solo una macchina da cucire con la quale rifarsi una vita. E forse questo suono della sua infanzia ritorna nell’incessante e laboriosa preparazione di questo tappeto arancione, cucito in due giorni e due notti da operaie al lavoro intorno al lago; una macchina antica tra le mani.

Anche in queste attività taciute e presenti vive la simbiosi dell’opera con questo luogo. Qui si tessono reti; le più resistenti, le più tenaci. Per le porte dei campi di calcio, per le amache, per le borse della spesa…
Un angolo di sogno che è davvero un pezzetto dell’Italia più consueta e più vera. Qualcuno esulta…qualcun altro si lamenta…qualcuno apprezza, qualcun altro nicchia…

Ma tutti torneranno. Negli occhi la magia dell’arte di Christo, effimera e bella come sono i ricordi.