La
città corre sui bastioni. Ma è una battaglia pacifica quanto la fortezza che la
accoglie. Perché si scrive Cittadella, ma si legge palestra a cielo aperto;
appuntamento irrinunciabile per chi esibisce le scarpette più nuove sotto un
fisico non troppo asciutto, o invece
glutei perfetti sotto magliette consunte. Pentagono di antiche mura che
oggi proteggono una moderna idea di verde, così come ieri inventavano una
voglia necessaria di forza e di potere.
Inventavano, perché qui non si è mai
combattuto, sparato, cannoneggiato o colpito. E forse anche per questo non
sorprende che oggi questo sia un gioioso e frequentatissimo parco; luogo dove
si suda (ma per sport) tra le feritoie affogate dal verde, e le bocche dei
cannoni sono solo un cimelio curioso accanto all’ingresso, tra le macchine in
parcheggio.
Una
fortezza ideale? Certo. Nelle (altre) intenzioni doveva essere proprio così.
Figlia del Rinascimento, di quel Cinquecento che scopre e guarda al potere
incarnato dal Principe di Machiavelli, la Cittadella fu voluta dal Duca Alessandro Farnese, gran capitano e
governatore delle Fiandre, sul finire di quel secolo. Realizzazione di un
desiderio che era già del nonno Pier Luigi, il quale infatti si era già
impadronito di quest’area nel 1546. Smantellata la chiesa gotica e il convento
della SS. Annunciata di Porta Nuova dei Frati minori francescani, che qui
sorgevano, i lavori (i lunghi lavori che ebbero inizio nel 1591) vengono affidati
agli ingegneri ducali Giovanni Antonio Stirpio de' Brunelli e Genesio
Bresciani, ma con la più che attiva collaborazione di Smeraldo Smeraldi.
L’ispirazione? Certo deriva dal castello di
Anversa di Francesco Paciotto. Ma la radice è più profonda. Nutrita dal terreno
più esatto del Rinascimento: l’uomo (il Principe, il Cortegiano…) deve essere
ideale? Lo sarà allora anche la sua città. E lo sarà in obbedienza agli (di
nuovo) ideali del riscoperto Vitruvio, e delle sue accentuate geometrie.
Razionalità, proporzionalità. Pentagono. La
Cittadella è un grande pentagono, frutto anche degli sviluppi dell’ingegneria
militare dell’epoca, certo. Ma è un pentagono non solo perché è la figura che
essi preferivano, ma perché è stella per eccellenza, immagine antropomorfica.
Testa, mani e piedi di quell’uomo che doveva essere un piccolo, perfetto
(micro)cosmo.
Pazienza, allora, se mai da questi bastioni si
sparò. Con le bocche da fuoco rivolte verso la città, anzi, volle essere forse
fin da principio immagine di prestigio per i Farnese. Simbolo di una forza
possibile ma mansueta.
Anche
l’ingresso principale, del resto, si apre alla città. Un bel manufatto che
ancor adesso si può ammirare, progettato da Simone Moschino (1596), ed eseguito
da Giovan Battista Carra.
Resta
anche un naturalmente successivo ritratto in bassorilievo del conte Neipperg,
entrando a destra sotto il portico d'accesso (forse opera del Bandini).
E
ovviamente i bastioni. Alti, oltre le rampe di verde che nello spazio a terra
ospitano campi di calcio o di basket e giochi per i bimbi, alberi e tavoli per
chiacchierare o smazzare le carte. Alti, e come un pentagono ( a forma di
uomo?) sul quale tanti uomini oggi corrono, per esibire o cercare (anche se
solo nel corpo) un profilo ideale. Destino (forse) di un luogo.
Rita
Guidi
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