Il 25 marzo 1867 si chiamava borgo S.Giacomo.
E’ qui, al numero 13 di quella che oggi è Via Rodolfo Tanzi che quel giorno
vide la luce Arturo Toscanini. Non molto di più, a dire il vero: a due anni era
già a Genova e poi di nuovo a Parma, passando da una dozzina di abitazioni
dell’oltretorrente popolare. Tutte più o meno come questa: una stanza sulla
strada, che diventa la bottega del padre
sarto (e garibaldino), una stanza per dormire di sopra, e le altre, come il
cucinino, da dividere con altrettante famiglie. Pochi mesi e un po' di latte,
eppure già una radice: quanto basta per farne un museo.
L’ingresso- bottega raccoglie testimonianze di
due Paesi che sono stati una decisa scelta. C’è l’attestato di benemerenza
della Philarmonic Simphony Orchestra di New York, gloriosamente diretta nel ‘33
e ‘34. E c’è l’augurio di buon compleanno dell’Orchestra della Palestina, che
Toscanini aveva diretto, tra i primi, senza compenso,nel‘37-’38. Scelte. Come
fare della Scala “La Scala”, in otto anni di direzione (dal ‘21 al ‘29) con
circa cinquecento rappresentazioni. Le locandine gialle di quelle opere
tappezzano lo stretto corridoio che si apre sul cortiletto interno. Sull’acciottolato il busto di una figlia
(Wanda). Sulle scale, soffitto di travi, ringhiere in ferro battuto e musica.
Si sale con la musica, che discreta e importante sembra nata qui.
La stanza natale ha tonalità rosse: la camicia
del padre garibaldino, il legno della scrivania ‘milanese’ di Toscanini, il
foulard di seta di Wagner o il velluto che avvolge la sua tazza da grog. C’è un
Toscanini senza frac, qui: quello delle fotografie con i genitori, degli
occhialetti e degli amori. La moglie Carla e il suo corsetto da sposa. Stralci
dei carteggi con Puccini, Debussy, Strauss. Ma soprattutto Verdi e Wagner,
‘pacificati’ dalla sua bacchetta. La bacchetta imperiosa e magica che diresse
un “Parsifal” alla Scala: è in una teca
della piccola sala col camino. La bacchetta del mago “Artù”, come lo chiamava
D’Annunzio, grande amico ed estimatore.
“Caro, caro Artù...” principia in cornice una
lettera inviatagli dal Vittoriale il 13
marzo 1927. E poi Carducci, Respighi, Einstein, per il Toscanini grande tra i
grandi: quello della stanza del divano, come un piccolo sipario senza il
palcoscenico. La giacca da camera e il suo poncho, il frac e la marsina alla
cinese. I cappelli per cui era famoso.
Il sudore e i gesti intensi del podio
illuminano dalle splendide foto di Robert Hupka le ultime scale, fino alla sala
audizione, intitolata ad Aureliano Pertile.
E qui non resta che sedersi ed ascoltare.
Rita
Guidi
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