venerdì 2 aprile 2021

QUANDO L'ARTE TOCCA IL CIELO - OBIETTIVO SULLA DEPOSIZIONE DELL'ANTELAMI di Rita Guidi

 


In questo Venerdi Santo alziamo gli occhi sul capolavoro dell'Antelami che più di ogni altro celebra la Croce...

Ruba agli occhi un piacere un poco ingiusto la bellezza antica di questa “Deposizione”. Sofferenza di pietra che grida come poche altre la propria difficile e sacra necessità. 

 All’ombra del duomo di Parma, protetto da altri più gioiosi splendori, questo celebre (insuperabile?) capolavoro di Benedetto Antelami, vive, nel coro, un proprio solenne e riservato palcoscenico. Che straordinariamente (ed eccezionalmente) si ripete oggi anche su carta. 

 Scolpita dalla luce, penetrata dalle più insospettabili tecniche di ripresa e di stampa “La Deposizione” (Battei, 146 pagg. ) è infatti oggi anche un libro. Indagine sorprendente tra le schegge dello scalpello, che diventa lezione ed emozione artistica insieme. 

 E’ Franco Furoncoli a firmare (pazientare, reinventare) queste foto. E’ sua la scelta dell’insieme e poi del particolare. L’attesa dell’ombra, la magia improvvisa della luce. 

  “Il tempo del fotografo – scrive non a caso nella bella prefazione Eugenio Riccomini – parrebbe istantaneo: si schiaccia un pulsante e l’opera è già compiuta. Ma qui, in queste immagini le cose non stanno affatto così. S’intuisce piuttosto una lentezza curiosa del vedere; un continuo avvicinarsi dell’occhio ad ogni progredire dello scalpello, ad ogni suo impuntarsi nella materia dura, fino a vincerla, a renderla carne tenera, pieghevole tessuto o turgore di vegetazione. S’intuisce, anche, in special modo per alcune immagini, un lungo attendere l’ora più adatta e propizia, senz’aiuto d’altra luce che quella che c’è.”

 E la luce prima di tutto davvero c’è. Poi ci sono le parole (tutte riprese poi in tre lingue); straordinarie appunto queste di Eugenio Riccomini, come un saggio (scientifiche) quelle invece finali, studiose, necessarie.

 Al centro, come nella pietra, come nell’Antelami, il Vangelo secondo Giovanni. Qualche passo che dice di Cristo quello che accanto leggiamo senza letture (la mano che consola la guancia della madre… Il viso di Giuseppe d’Arimatea che gli abbraccia il costato…), posando lo sguardo sul dolore austero, toccante ed asciutto pensato nel 1178. 

 (Anche) questa pagine raccontano infatti che “La deposizione” antelamica non solo era probabilmente parte di  un pulpito quadrangolare, ma fu realizzata in quell’arco di tempo (fra il 1170 e il 1190) nel quale Benedetto Antelami fu anche impegnato nella costruzione del Duomo di Borgo San Donnino (e cioè Fidenza). Appartenente probabilmente a quel gruppo di costruttori provenienti dalla valle d’Intelvi (noti con il  nome di "magistri Antelami", appunto per la loro origine), lo scultore e architetto, dopo essersi formato in Francia, fra la Provenza e l’Ile de France, operò a lungo anche a Parma. Prima sistemando il coro della cattedrale, e poi (dal 1196) assumendo l’incarico di maestro responsabile della costruzione e della decorazione del Battistero, per il quale realizzò gli splendidi rilievi dei portali e le sculture interne che raffigurano i “mesi” e le stagioni.

 Emblema celebre e grande della sua mano. Ma certo anche da qui, da questa dolente lastra, passa la sua fama. Ora, con queste pagine, certo più copiosamente diffusa. 

 Fotografia fedele di una stessa emozione. Dolore bello. Arte necessaria.


Rita Guidi



  Per chi poi non si accontenta, per chi vuole sbirciare l’irrinunciabile bellezza, antelamica pure quella, del Battistero, c’è un altro libro, un manuale, una guida, pronta a dirci di quell’altra straordinaria opera che sono “i mesi” di questo misterioso e magico artista.

 Si chiama proprio “I mesi antelamici del Battistero di Parma” (sempre Battei) e l’ha scritto Chiara Frugoni (l’introduzione è di Gianfranco Fiaccadori). 

 Di nuovo belle immagini su carta patinata e sguardo attento, per un’altra bellissima conoscenza. 


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