giovedì 22 aprile 2021

BELLA PARMA - LA CAMERA DI SAN PAOLO di Rita Guidi

 

  


Non c’è nessun dubbio che le piacesse guardare in alto, verso il cielo di Dio come a quello degli uomini. Che badessa di un convento rinascimentale, del suo ruolo e del suo tempo amasse quanto di grande e di nuovo ci fosse da scoprire.

 Si chiamava Giovanna Piacenza. Figlia di illustre casato, colta e curiosa come a poche donne la storia concesse di essere, è appunto lei la badessa posta a capo del convento delle monache benedettine di S.Paolo il 24 maggio del 1507.  Ventotto anni, un carattere imperioso e un’altrettanto decisa vitalità, se insomma vi ostinate a pensarla come una monaca a capo di altre monache è senz’altro il caso di intendersi. Più che badessa, piccola sovrana, Giovanna governa infatti quello che è il più blasonato e modaiolo convento dell’epoca, con il polso e l’allegria che derivano dai modi suoi e del suo tempo. Nominata a vita, libera di scegliere a chi e come far amministrare i suoi beni, appassionata d’arte e di lettere, è una figura potente, viva, libera e combattiva proprio per difendere questa sua preziosa libertà. Non a caso, su di lei (e su quelle come lei) incombe il pericolo della clausura: di quella delibera papale che arriverà (e davvero arriverà) a tacere la presunta troppa mondanità dei monasteri femminili, a murare quella religiosità lieta della quale però, proprio grazie a lei, conserviamo le tracce. Perché Giovanna combatte, certo, ma intanto guarda su e guarda avanti. Vuole la novità e la bellezza. Chiama, e certo non può essere un caso, il pittore lieto, Antonio Allegri detto il Correggio, a inventarle il cielo di una stanza. A firmare quella che conosciamo sinteticamente come la “camera di S.Paolo” e che è solo una delle sei che diverranno il suo “regale” appartamento.

 Nasce così questo capolavoro. Come una scoperta improvvisa, segreta e forte: prima opera parmigiana del più marginalmente grande degli artisti, luogo a lungo rubato alla celebrità e agli sguardi per aver seguito come la badessa (e quelle dopo di lei) le regole della clausura, camera che è ancor oggi per noi emozione certa. Perché basta un passo ed è Rinascimento. Perché prima c’è il resto, le pareti austere, l’eco del Medio Evo, i colori eleganti dell’Araldi, che firma con classe la camera precedente… Ma basta un passo e siamo già lontani, in alto e dopo. Verso la realizzazione di quella nuova bellezza che al giovane Correggio bastava aver anche solo fiutato. Quella che a Roma parlava la lingua di Michelangelo o Raffaello.

 A Parma è “ancora” il 1518, ma la scoperta del nuovo mondo nell’arte è affidata a lui. E inizia a maturare proprio qui. Su queste venature che irraggiano ghirlande eleganti e festose; sul gioco regolare e classico delle lunette, insieme esatte, bianche e misteriose; su quegli occhi di paradiso aperti nel verde dai quali ci sorridono i putti, intenti a giocare con archi e frecce, a carezzare i cani o suonare il corno. Ma sempre tondi, mossi e felici.

 Il significato? Le risposte potrebbero essere mille. Ma se la certezza del racconto è rimasta intrappolata dal silenzio dell’autore e della sua rinascimentale committente, vale qualche ipotesi e anche qualche breve sicurezza.  E’ infatti forse lecito pensare che questo sia solo un capitolo di una storia lunga sei stanze, e che allora forse è qui che si raccoglie la simbologia dei principi morali e dottrinali attraverso i quali si raggiunge la virtus. Quel che è certo, invece, è che sia “lei” (Giovanna) la Diana che decora il camino; che al centro di queste sedici nervature d’arte ci sia il suo stemma, l’oro con le tre lune falcate del suo casato; e che l’autore di tutto questo sia quello che lei stessa ha scelto.  L’artista il cui nome è già scritto nello sguardo rotondo dei suoi putti e amorini. Allegri. Quell’Antonio Allegri detto da Correggio, che spesso amava firmarsi anche Lieto, o “Leto”, latinamente, come tanto piaceva all’universo umanista e alla nostra Giovanna. Così come le piacevano le novità di ogni Paradiso. Quel contorno di tondi angioletti gioiosi sui quali alzare lo sguardo; con i quali addormentarsi. E magari svegliarsi, nell'uno o nell’altro cielo.

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