lunedì 8 marzo 2021

GIUSEPPE SGARBI? CI PARLA ANCORA di Rita Guidi

 


Ora è diventato un film, "Lei mi parla ancora" di Pupi Avati, ma queste pagine sono già state applaudite come testimonianza di vita di un uomo che la vota l'ha attraversata da silenzioso protagonista. Giuseppe Sgarbi ha amato la sua vita, le inevitabili difficoltà, le sofferenze che l'hanno attraversata e forgiata, e poi l'arte e la belleza come costante tensione salvifica, e ancora l'amicizia e l'amore, per la sua professione e per la sua famiglia. Per la sua Rina: donna di una vita, appunto, come deve essere per un uomo vero (o, se preferite, un vero uomo...Abbiamo letto quelle pagine nella loro prima uscita, per Skira (ora sono ripubblicate da Mondadori con lo stesso titolo del film) ed ecco quali emozioni ci hanno suscitato.

 Le pagine più forti sono proprio in fondo. Le uniche che gridano (nei ricordi mai rimarginati della grande alluvione) in un’avventura di quiete. Non perché non accada nulla, no: ma per la scelta (qualcosa tra l’amato equilibrio rinascimentale di un Ariosto e più moderni echi zen) di adagiarsi allo scorrere del tempo e della vita. 

Del resto Giuseppe Sgarbi lo scrive chiaramente in questo suo “Lungo l’argine del tempo” : “Ho fatto come il fiume, ho seguito il mio letto”. Metafora ricorrente di un libro-diario-biografia-testimonianza, di un uomo che alle soglie del novantaquattresimo compleanno sceglie di raccontare e raccontarsi. Non tanto e non solo come padre (perché è proprio lui, il papà del celeberrimo Vittorio e della altrettanto nota Elisabetta, presenti in postfazione, ma qui interessa Giuseppe), ma come voce di un tempo che è innanzitutto proprio; qualcosa di dovuto.

 Dal mulino di Stienta, che lo vede bambino (in un orizzonte rurale sempre amato e mai dimenticato), ai luoghi appena accanto eppure lontanissimi dalla radice onirica della sua infanzia (Ro, Ferrara…) che lo vedono crescere uomo, Giuseppe Sgarbi “il farmacista” (ancor più che agli alambicchi, appassionato di bellezza e di poesie) si confida e si racconta come ad un lettore-amico. 

Un ascoltatore più giovane, cui affidare il ricordo di quel suo mondo perduto, ma che scorre in lui ancora, con la stessa forza del (suo) fiume. Perché ci sono i tuffi di ragazzo, nel suo Po, e il silenzio necessario dopo i giorni di guerra, nel suo Po.  E l’argine da superare per diventare ‘grandi’, o la corrente da sconfiggere per sapere se l’alluvione ha risparmiato i suoi genitori e il suo mulino. 

Nel suo Po. Cornice viva, come i ritratti bellissimi del padre (elegante e un poco malandrino), della madre (affettuosa e bellissima), della moglie (l’incantevole Rina), alla quale tributa un amore senza dighe, finché arriveranno al mare. 

Già il mare: vissuto in  Liguria e nella Grecia in guerra. E ricordato in una delle tante (amate) poesie che hanno accompagnato fedeli ogni momento della sua vita: “Il mare rotola sulla riva un’onda che conosce i miei giochi” scrive. Ma potrebbe trattarsi della riva di casa.

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