mercoledì 11 maggio 2011

GIAMAICA: IL VERDE ORIZZONTE DI BOB MARLEY testo e foto di Paolo Pernigotti


Sì, la Giamaica è verde. Ma non fidatevi: la dipingono. 
A Montego Bay, quando non piove da tempo esce una vecchia autobotte e spruzza di verde le aiuole rinsecchite, le siepi, i pratini. D’altronde qui l’erba è importante: è Bob Marley l’eroe nazionale. Il mare invece è senza coloranti: è tutto suo quel bluverdeazzurrobianco con un’ acqua così limpida e placida che viene da nuotare piano per non scomporla.
La Giamaica confina a Nord con un paese felice: la Terra dei Resort, giorni smaglianti e sere a lume di candela. Profonda quanto basta per abitarvi un sogno, lunga quanto le sue spiagge più belle. Nella specchiata hall di Half Moon – il resort più prestigioso dell’isola – c’è Bush padre incorniciato nella galleria di chi c’è stato. E qui dev’essersi sentito a casa. Casa Bianca. Perché in questi firmamenti di stelle gran lusso vince il bianco. Non solo nella pelle dei clienti e nel lampo abbacinante delle spiagge, ma nelle pompose scenografie da “Via col vento” on the beach: colonne, timpani e verande, marmi e stucchi smaltati. Neri – ma in giacca bianca – solo i camerieri, pronti al sorriso, al drink, al “Sir”. Fra mare, palme e green, una quiete che, anche quella, sembra un lungo ciak, una storia felice. Peccato che sia un film.
La verità è oltre il cancello e le guardie. Oltre confine. Con i suoi colori – forse è proprio il bianco che langue - e i suoi dolori, i suoi rumori, umori, amori. Perché in Giamaica non ci sono antiche vestigia, musei, monumenti. Non c’è niente di particolare da vedere. C’è tutto: la vita della sua gente, la terra, il mare.

Il charter della Livingston Milano-Montego si mette in coda ai banchi dell’Immigrazione con rosee tardone del Michigan e dell’Ohio. Questa è la Svezia del maschio italiano anni ’50: sesso libero, ottimo e abbondante. E i giamaicani si pubblicizzano senza subliminali: le statuette di legno che fanno bella mostra di loro in ogni bancarella sono così autoreferenziali che non passano come bagaglio a mano. Per la Security sono armi improprie. E’ l’ultima spiaggia, le signore vogliono bruciarsi. Non solo ai raggi del Tropico.
I giamaicani hanno facce da galera, ma non è colpa loro: c’è sangue pirata nelle vene e rabbia di antichi schiavi sotto la pelle. Le giamaicane hanno facce che ci stanno, ma è colpa nostra che non sappiamo leggere altro nelle loro labbra spugnose, negli sguardi selvatici, nelle curve esplosive. Montego ne è convulso palcoscenico. E taxi strombettanti in processione, insegne variopinte e roboanti, McDonald e Pizza Hut: la città è un villaggio che si sente metropoli. Capitale del Nord, privilegiato approdo delle crociere dalla Florida e primo porto commerciale della Giamaica, più di ogni altro luogo svela l’anima segreta, più autentica dell’isola.
La Giamaica confina verso nord con la Terra dei resort, verso sera con l’Africa. Gli uffici chiudono, il sole si smorza e la vita scende in strada. Reggae, rap, halldance, i negozi squadernano sui marciapiedi casse da discoteca e incrociano i loro decibel con le autoradio a squarciagola di passaggio, con lo strombettare dei taxi in fila indiana. E’ un’onda da cui farsi portare, una fiera di passi, di sguardi e di parole. Teli accampati ovunque vendono qualsiasi cosa e le grida degli ambulanti cercano di sopraffare Bob Marley; disteso sui gradini qualcuno ha nient’altro che la sua storia biascicata da vendere e tende senza convinzione la mano rinsecchita; nugoli di scolarette in uniforme da ragazzine  ricche tornano verso le loro baracche di periferia; vecchie streghe s’illuminano in sorrisi sdentati per piazzare un mango o una papaia; pin up e machi  hanno passi e sogni da disco music a stelle e strisce; rasta dai capelli di corda si accarezzano il pizzo caprino e inseguono più fumosi sogni.
Nei resort è l’ora del dinner e delle orchestrine soffuse. In strada è l’ora dei jerk: un bidone da benzina tagliato per il lungo, riempito a metà di carbone e rami di Pimento, pianta aromatica e condimento nazionale. Nel rudimentale barbecue si arrostisce pesce, manzo, maiale. Quel che c’è. E da una specie di tubo di scappamento escono fumo e profumo che riempiono le strade e adescano i clienti. Per dessert, canna da zucchero scorticata al momento, da succhiare fino al midollo. La sete poi si toglie con un colpo di machete a una noce di cocco o con una Red Stripe a garganello, la biondissima birra del posto. Le lampadine penzolanti dei jerk saranno le ultime a spegnersi, nel cuore della notte: l’appetito ha le sue regole, la fame non ha orario.
Così sei giorni su sette, ma la domenica è il giorno del Signore. E delle signore per un giorno. Montego, un girone di dannati che si riempie di alleluia. Negozi chiusi, poche bancarelle, strade vuote, neppure i soliti taxi in circolazione. Ovunque chiese, grandi come teatri o piccole come un garage: protestanti, cattolici, evangelici, pentecostali, avventisti, animisti. Cristo in tutti i modi. E chi non è in casa o in chiesa è solo chi è senza casa o senza chiesa: per le strade del centro, sotto i portici di Marcket Street, nelle aiuole di Sam Scarpe Square, solo i più disperati. Corpi distesi, passi stentati, mani tese, parole farfugliate. Montego fa paura. Ma, d’improvviso,colori pastello riempiono la città, e profili da Mary Poppins. Sciamano all’uscita da messa su traballanti scarpette di vernice, la Bibbia sotto il braccio, cappellini con la veletta, tailleur squadrati. All’angolo di una strada improvvisano un pulpito di anatemi e fiamme eterne, tra alleluia, battimani e tamburelli. Altre distribuiscono razioni di pollo e riso dal camioncino della parrocchia. Qualcuna allunga una moneta. Altre il passo verso casa, che di monete c’è poco da frugare. Hanno al fianco ossuti cavalieri, rigidi nei loro abiti scuri e lisi. I più giovani si concedono damascate sciccherie da piano bar. La città è due mondi. Ma il paradiso e l’inferno si sfiorano con rispetto: sanno che già domani saranno più vicini. Come Cenerentola, la favola di Mary Poppins finisce a mezzanotte.  
Una strada lunga centottanta chilometri percorre tutta la costa Nord. Verso ovest si va verso il rinomato tramonto di Negril. Non sono male neppure le imitazioni, ma pare che come il sole si butta in mare in questo estremo occidentale non si butti da nessun’altra parte. E l’appuntamento è al Rick’ Cafè: rum, musica e sunset da intenerire il core. Di giorno, invece, è gara a chi si tuffa più dall’alto. In quest’isola di spiagge, qui è spuntata una rupe a picco sul blu. E se non bastano venti metri di roccia a conquistare la ragazza o la mancia dei turisti, c’è il supplemento di un albero a fare da vertiginoso trampolino per un volo a capofitto. Negril è la Rimini giamaicana. Alberghi, ristoranti, bagni, bar, souvenir. E sorrisi romagnoli, in questa terra avara di cordialità per lo straniero. Dieci chilometri di spiagge ininterrotte e lucenti, è la vacanza meno dispendiosa dell’isola: ci sono grandi alberghi – uno sta aprendo da duemila camere – ma soprattutto pensioncine familiari e stanze in affitto. E un pasto si può risolvere con una specie di panzerotto piccante dalla pasta sottile ripieno di pesce, pollo o maiale che va alla grande. Si chiama “patty”. Mentre per chi vuol star leggero ci sono i banchetti rasta: fedeli alla loro filosofia propongono solo piatti vegetariani. E, magari, uno spinello al posto del caffè.

Da Montego in direzione ovest, verso Ocho Rios e Port Antonio, i nomi dei paesi finiscono con Bay: una spiaggia dopo l’altra, sulla sinistra, la voglia di fermarsi ogni volta, e baracche di pescatori color azzurro mare. A destra, canna da zucchero, palme e zenzero, banchetti di gamberi lessati e case a palafitta dritte sulle prime colline.
Sulla spiaggia di Rio Bueno, il 4 maggio del 1494, sbarcò Cristoforo Colombo. Un monumento lo celebra e un vecchio rasta travestito da rasta gli fa compagnia schitarrando per i turisti qualche brano di Marley. Forse più consono monumento, la gigantesca rafineria di bauxite, cento metri più in là, affacciata sulla baia da cui partono le navi per il Vecchio continente. Il genovese non era venuto per affari?
Ocho Rios ha un mercatino pittoresco. I venditori sanno che i turisti sono più interessati alle loro facce che alle t-shirt con Bob Marley e si lasciano fotografare solo in cambio di qualche dollaro. Prima sparano cachet da top model, poi si accontentano di cento dollari giamaicani, che sembrano tanti ma sono un Euro. Non c’ è foto gratis in Giamaica: appena si imbraccia la reflex, anche davanti a una spiaggia sconfinata e deserta, qualcuno compare e intima: “Money!”. Inutile spiegargli che non l’avevate neppure visto e che non vi interessa immortalarlo nel vostro album. Come non c’è mai un cielo sconfinato sullo sfondo di un’inquadratura: dovunque passano garbugli e ragnatele di fili elettrici. Lungo le strade grandi cartelloni spiegano che rubare l’elettricità è reato. Ma l’allacciamento fai da te è la regola. (continua)...

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