Non c’è
nessun dubbio che le piacesse guardare in alto, verso il cielo di Dio come a
quello degli uomini. Che badessa di un convento rinascimentale, del suo ruolo e
del suo tempo amasse quanto di grande e di nuovo ci fosse da scoprire.
Si
chiamava Giovanna Piacenza. Figlia di illustre casato, colta e curiosa come a
poche donne la storia concesse di essere, è appunto lei la badessa posta a capo
del convento delle monache benedettine di S.Paolo il 24 maggio del 1507. Ventotto anni, un carattere imperioso e
un’altrettanto decisa vitalità, se insomma vi ostinate a pensarla come una
monaca a capo di altre monache è senz’altro il caso di intendersi. Più che
badessa, piccola sovrana, Giovanna governa infatti quello che è il più
blasonato e modaiolo convento dell’epoca, con il polso e l’allegria che
derivano dai modi suoi e del suo tempo. Nominata a vita, libera di scegliere a
chi e come far amministrare i suoi beni, appassionata d’arte e di lettere, è
una figura potente, viva, libera e combattiva proprio per difendere questa sua
preziosa libertà. Non a caso, su di lei (e su quelle come lei) incombe il
pericolo della clausura: di quella delibera papale che arriverà (e davvero
arriverà) a tacere la presunta troppa mondanità dei monasteri femminili, a
murare quella religiosità lieta della quale però, proprio grazie a lei,
conserviamo le tracce. Perché Giovanna combatte, certo, ma intanto guarda su e
guarda avanti. Vuole la novità e la bellezza. Chiama, e certo non può essere un
caso, il pittore lieto, Antonio Allegri detto il Correggio, a inventarle il
cielo di una stanza. A firmare quella che conosciamo sinteticamente come la
“camera di S.Paolo” e che è solo una delle sei che diverranno il suo “regale”
appartamento.
Nasce
così questo capolavoro. Come una scoperta improvvisa, segreta e forte: prima
opera parmigiana del più marginalmente grande degli artisti, luogo a lungo
rubato alla celebrità e agli sguardi per aver seguito come la badessa (e quelle
dopo di lei) le regole della clausura, camera che è ancor oggi per noi emozione
certa. Perché basta un passo ed è Rinascimento. Perché prima c’è il resto, le
pareti austere, l’eco del Medio Evo, i colori eleganti dell’Araldi, che firma
con classe la camera precedente… Ma basta un passo e siamo già lontani, in alto
e dopo. Verso la realizzazione di quella nuova bellezza che al giovane
Correggio bastava aver anche solo fiutato. Quella che a Roma parlava la lingua
di Michelangelo o Raffaello.
A Parma
è “ancora” il 1518, ma la scoperta del nuovo mondo nell’arte è affidata a lui.
E inizia a maturare proprio qui. Su queste venature che irraggiano ghirlande
eleganti e festose; sul gioco regolare e classico delle lunette, insieme
esatte, bianche e misteriose; su quegli occhi di paradiso aperti nel verde dai
quali ci sorridono i putti, intenti a giocare con archi e frecce, a carezzare i
cani o suonare il corno. Ma sempre tondi, mossi e felici.
Il
significato? Le risposte potrebbero essere mille. Ma se la certezza del
racconto è rimasta intrappolata dal silenzio dell’autore e della sua
rinascimentale committente, vale qualche ipotesi e anche qualche breve
sicurezza. E’ infatti forse lecito
pensare che questo sia solo un capitolo di una storia lunga sei stanze, e che
allora forse è qui che si raccoglie la simbologia dei principi morali e
dottrinali attraverso i quali si raggiunge la virtus. Quel che è certo, invece, è che sia “lei” (Giovanna) la
Diana che decora il camino; che al centro di queste sedici nervature d’arte ci
sia il suo stemma, l’oro con le tre lune falcate del suo casato; e che l’autore
di tutto questo sia quello che lei stessa ha scelto. L’artista il cui nome è già scritto nello
sguardo rotondo dei suoi putti e amorini. Allegri. Quell’Antonio Allegri detto
da Correggio, che spesso amava firmarsi anche Lieto, o “Leto”, latinamente,
come tanto piaceva all’universo umanista e alla nostra Giovanna. Così come le
piacevano le novità di ogni Paradiso. Quel contorno di tondi angioletti gioiosi
sui quali alzare lo sguardo; con i quali addormentarsi. E magari svegliarsi,
nell'uno o nell’altro cielo.
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