
Il Museo d’Arte Cinese
è lì.
Cent’anni e più, che diventano una storia nella storia. Una sala con quest’uso
infatti esisteva già dal 1900. L’aveva
voluta Monsignor Conforti, fondatore dell’ Istituto, per raccogliere gli
oggetti che i missionari inviati in quel lontano mondo riportavano qui. Un paio di loro, che in Cina rimasero per
oltre cinquant’anni dal 1899, hanno raccolto la maggior parte delle opere -
alcune davvero preziose - del museo, in seguito arricchito da altri acquisti e
donazioni. Tanto
da far sembrare già stretto lo spazio che ordina gli oggetti
in un nuovissimo, sobrio allestimento. Suggestivo più che mai, per il gioco tecnologico di un immenso schermo a tutta parete, musiche soffuse, touch screen informativi.
Vetrine, teche e profumo d’Oriente
distese lungo due corridoi e una grande sala. Selezione preziosa di quegli
oltre milleseicento oggetti che prima convivevano fascinosi e accatastati in un
diverso spazio. Dipinti (restaurati e protetti), statuine, mai cianfrusaglie
anche se documenti minori, e che ora ritrovano nel buio la necessaria
salvaguardia per i propri colori.
Ma il meglio è qui,
sotto la luce silenziosa di questi occidentali riflettori, didascalia viva dei
racconti di Marco Polo, e non solo. Perché è dedicata agli abitanti d'Amazzonia, la
prima sala, all’ingresso. Oggetti d’uso quotidiano. Abiti, accessori...Come per la Cina, che si scopre più in là. Utensili antichissimi, oggetti (per la scrittura, occhiali),
scarpe. I “gigli d’oro”: il più elegante supplizio di raso. Cinque, forse sei
centimetri di dolore, dedicati alle figlie
della nobiltà. Il piccolo tacco,
l’impossibile misura, questa scarpa certo non bastava all’equilibrio delle pur
leggiadre principesse, che quindi si aiutavano con quel bastone che vedete accanto.
Ma l’Oriente più
estremo e prezioso, per un’altrettanto lontana idea di bellezza, è racchiuso
nella sala centrale. Protetto dal vetro ma non dallo sguardo, saltano all’occhio
i capolavori in stile ‘barocco’ (è del ‘600) degli oggetti d'avorio, straordinari di intagli e cesellature quantomeno sorprendenti.
Alle pareti le
ceramiche, in ordine cronologico,
praticamente una per ogni dinastia: dai suggestivi reperti tombali, alle prime
porcellane inventate sotto i T’Ang (618-906). Splendido il grande vaso
rosso-blu “sottocoperta” benchè di
primo ‘800. Sottocoperta perchè avvolto da quella lucente pellicola vitrea che
contraddistingue il procedimento di cottura (con temperature, tempi e
componenti diversi ) proprio della porcellana. Più frequenti gli oggetti
bianco-blu, per la resistenza termica di questo colore, più rari quelli con
diversi colori, che richiedevano ulteriori e più delicate cotture. E ancora,
giustamente al centro, due Pan-Shan di 4.000 anni fa: in terracotta, perfetti,
questi vasi erano destinati a contenere cibi o bevande, ritrovati intatti in
una tomba, attorno al 1920. Nella serie di bronzi, che pure attraversano
millenni di storia (i più antichi sono del V-VI sec a.C.), numerosissimi i
Buddha (venerato dal 500 a.C.) compreso quello panciuto e sorridente dell’abbondanza ( e
dell’avvenire, nel senso che è ancora atteso...).
Non abbiamo detto dei libri tibetani, o delle mille curiosità
che avvolgono ogni oggetto ; e ognuna conosciuta dalla straordinaria esperienza
di Lino Ballarini, missionario e guida di un museo che è testimonianza d’umana
e lontanissima avventura. Per scoprire l’ultima chicca, i dodici pannelli di un
immenso paravento, si attraversa tutta la sala, ormai dimentichi del primo corridoio, figlio di altri continenti,
tra maschere di tribù d’Amazzonia o tamburi d’Africa. Ma questa è altra
lontananza e altra storia.
Rita
Guidi
Il Museo d’Arte Cinese si trova all’interno dell’Istituto
Saveriano per le Missioni Estere, in Viale S.Martino 8, a Parma. L’orario di
visita è 9/13 - 15/19 tutti i giorni salvo il lunedì, la domenica 11/13 - 15/19. Tel.0521/257337.